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SIENA – Se l’Ucraina sta pagando di gran lunga il prezzo maggiore per la guerra, l’Europa ha comunque dovuto aprire gli occhi sulle conseguenze. Sicurezza, accoglienza dei profughi e approvvigionamento energetico.

Ambito, quest’ultimo, dove le alternative non mancano. Ne è convinto anche Riccardo Basosi, docente dell’università di Siena e tra i massimi esperti su scala nazionale di rinnovabili.

Il rublo dopo una flessione è in ripresa. L’Europa paga ancora il gas a Putin. Questo cosa ci dice?
“La Nato ne ha parlato ieri, ma per ora la questione energetica non è stata toccata. Italiani e tedeschi sono restii viste le importazioni. Diverso il discorso per Stati Uniti e Canada. Semmai bisogna chiederci come mai siamo arrivati a essere legati in questo modo al fornitore russo. Il nostro problema è che abbiamo considerato il gas come la forma fossile della transizione, e questo non era sbagliato in sé, ma il nostro parco elettrico funziona con cicli combinati a gas e questo ora è un problema”.

Il ministro Cingolani va ripetendo che servono tre anni per dire basta al gas russo. E’ credibile?
“E’ credibile se vengono fatte le scelte che finora sono state solo annunciate. In primo luogo lo sviluppo di fonti rinnovabili e di attività di efficienza energetica. Va tenuto presente che questo comporta delle scelte, perché non tutte le fonti di energia vanno bene ovunque”.

Però, quando in Italia si parla di installazioni per le rinnovabili, c’è sempre contrarietà. Come mai?
“Spesso le scelte non sono condivise in maniera democratica con i cittadini. E questo aumenta la diffidenza. Però, sono stati fatti passi in avanti negli ultimi venti anni”.

Cosa ci sta insegnando questa guerra dal punto di vista energetico?
“I gasdotti per lungo tempo sono stati delle garanzie per la pace mondiale. Ora sono diventati uno degli elementi strategici dei rischi bellici. Si è venuto a creare il paradosso che con i soldi del gas in arrivo dall’Europa vengono di fatto pagate alla Russia anche le spese militari. Funziona tutto come se quasi non ci fosse la crisi”.

Il ministro Di Maio è andato a contrattare il gas con l’Algeria. Si può pensare all’autosufficienza?
“No, noi non abbiamo queste risorse. Noi possiamo esportare la tecnologia, che può diventare un elemento di pace. Però possiamo diversificare. Per esempio, abbiamo solo tre rigassificatori. Di fatto, la soluzione ai problemi dell’energia non c’è mai. L’unica soluzione è sfruttare al meglio ciò che si ha a disposizione”.

Dal punto di vista energetico come sta il nostro Paese?
“Non così male, poi la pandemia ha un po’ bloccato questi processi. Tuttavia, il 42% dell’elettricità oggi è fornito dalle rinnovabili. C’è stato quindi un grande sviluppo del fotovoltaico. Spesso su iniziativa dei singoli cittadini”.

Eppure, con l’aumento delle bollette, il sistema produttivo rischia la paralisi. Cosa non funziona?
“Il nostro sistema produttivo è fragile e soprattutto è composto da piccole-medie imprese. Pesa la mancata programmazione industriale. Il discorso è complesso, perché non tutti gli ambiti richiedono un alto impiego di energia”.

Come sta procedendo la transizione ecologica?
“E’ presto per dirlo. In linea di principio sono stati individuati i settori dove intervenire. Le modalità non mi convincono, anche se è vero i tempi sono stretti. Non ha fatto partire le esigenze dalle necessità del territorio, ma da una visione ‘illuministica’. Mi auguro che i soldi siano spesi nel modo giusto, ma non ne sono così sicuro”.

La geotermia è la risorsa del futuro?
“Prima di tutto, è’ una fonte energetica importante non sfruttata in maniera adeguata. E questo non vale solo per l’Italia. Va aggiunto che non è una fonte energetica pulita e quindi va capito come renderla compatibile con il territorio. Sotto questo profilo c’è molta strada da fare, anche se Enel ha fatto in Toscana dei passi avanti positivi. In questa prospettiva servono concessioni di lungo periodo”.

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Per quanto riguarda l’eolico, c’è un progetto di un parco off-shore nell’alto Tirreno. Cosa ne pensa?
“La mio opinione, al di del caso specifico, è che vada sviluppato. Sulle installazioni nel mare siamo all’avanguardia dal punto di vista tecnologico. Non si deve dimenticare che l’Italia ha un territorio limitato e quindi gli impianti off-shore sono quelli che possono risolvere i nostri problemi”.

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Non è paradossale parlare di rinnovabili e poi l’innalzamento della benzina manda in tilt il Paese?
“Sarò impopolare, ma per l’ambiente è un bene che la benzina aumenti. Si dovrebbe utilizzare i mezzi privati solo quando è strettamente necessario. Certo, ce l’elettrico, ma mancano le infrastrutture”.

Sulla mobilità sostenibile a che punto è l’Italia?
“Siamo in ritardo rispetto ad altre realtà, anche perché la Fiat non ci ha puntato da subito. In generale servono delle infrastrutture per fare il pieno di energia in tempi brevi. Su ciò siamo indietro”.

Con il protrarsi della guerra, è tornato in auge anche il nucleare. Una strada da percorrere?
“Sarebbe una follia. E’ l’unica fonte energetica che produce materiali che in natura non esistono. Per esempio, il plutonio 239 ha una durata, come ‘tempo di dimezzamento’, di 12 mila anni. Poi non ci dimentichiamo che il nucleare produce solo elettrico.”.

A questo proposito, c’è fermento sulla collocazione del deposito di scorie nucleari. Giusto sia così?
“E’ un altro elemento che spinge a evitare la scelta nucleare. L’Italia ha un’orografia particolare. Non sono riusciti neppure le scorie derivanti dall’attività sanitaria. La Sogin non ha risolto questo problema. Quindi, c’entra la logica nimby, ma è difficile non condividerla. Nel nostro Paese non ci sono molti posti che abbiano le caratteristiche idonee. Sulla sicurezza non ci sono mediazioni”.