SIENA – L’allarme sul possibile impiego di armi chimiche da parte della Russia, è stato dato dal segretario di Stato americano, Antony Blinken.

Minaccia credibile, ma che secondo Matteo Guidotti – di origini senesi – chimico e membro del Consiglio consultivo scientifico dell’Opac, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, avrebbe diversi effetti controproducenti. Senza contare la convenzione di Parigi del 1993, che vede al momento solo 4 stati rimasti fuori dal trattato.

Quando si parla si arma chimica, cosa si intende?
“Si tratta di una sostanza che viene utilizzata in maniera specifica perché è in grado di interagire negativamente con un organismo vivente, interferendo con i meccanismi biologici. Ci sono varie tipologie, ma quelli più letali sono gli agenti nervini, gli aggressivi vescicanti, utilizzati nella Prima guerra mondiale, e gli aggressivi soffocanti, come il cloro. In pratica tutte le armi che portano alla morte per intossicazione”.

Possiamo affermare che nella guerra in Ucraina non sono state utilizzate armi chimiche?
“Si, perché non ci sono evidenze che le morti siano avvenute per intossicazione. Cosa che avviene quando si fa ricorso alle armi chimiche. Se poi fosse stato così, ne avremmo avuto notizia. E’ successo in Siria, così come nella guerra tra Iran e Iraq”.

La Russia ha materiale chimico da utilizzare nel conflitto?
“Come altri Paesi potrebbe avere ancora dei residui che arrivano dall’epoca sovietica. Va detto anche che è una delle nazioni più attive all’interno dell’Opac (conosciuta anche con l’acronimo inglese di Opcw, ndr). A questo si aggiungono le ispezioni periodiche dell’Organizzazione nei siti dichiarati e non. Il dato più recente ci dice che il 98% degli arsenali su scala mondiale è stato distrutto”.

In una guerra dove si usano armi di ultima generazione, avrebbe senso ricorrere ad agenti chimici?
“A mio avviso adesso avrebbe poco senso. Il vantaggio dal punto di vista tattico l’utilizzo di armamenti speciali sarebbe minimo. Si basa su tecnologie e materiale sviluppati negli anni Sessanta. Inoltre, un esercito adeguato ha tutte le contromisure, in quanto a equipaggiamento, per difendersi da un eventuale attacco. In più violerebbe la convenzione in materia”.

In Siria le milizie di Bashar al-Assad non si sono fatte scrupoli. Come mai ora non può accadere?
“Intanto la risonanza mediatica sarebbe diversa. Poi è differente il tipo di guerra. Quello era un conflitto civile e che non vedeva contrapposti due eserciti regolari. Quindi, essendo un conflitto asimmetrico, il danno provocato poteva essere significativo. In Ucraina un eventuale utilizzo avrebbe un impatto strategico minimo, ma una ricaduta propagandistica enorme e controproducente”.

Si può affermare quindi che le armi chimiche oggi non sono un deterrente?
“Si. Già negli anni Ottanta, studi in materia classificavano l’arma chimica come quella con l’efficacia minore in quanto arma di distruzione di massa, rispetto a quelle biologiche o nucleari”.

In concreto se venissero utilizzate armi chimiche, l’Opac cosa può fare?
“Se ci fossero evidenze, così come è stato in Siria, ma anche nel caso Navalny, dovrebbe essere permesso agli ispettori di svolgere apposite verifiche. Sarebbero accompagnati dai caschi blu dell’Onu, come da convenzione. Le conclusioni, dopo il via libera del Consiglio direttivo dell’Organizzazione, sarebbero inviate al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che è l’organo deputato a prendere provvedimenti. Poi ci sono anche dei percorsi differenti, perché va visto se si tratta di un atto terroristico, un sabotaggio o un attacco predeterminato. Di norma, si procede di caso in caso”.