ROMA – La nuova mappa è stata messa sotto chiave negli armadi del ministero della Transizione ecologica. Sogin l’ha elaborata dopo un lungo percorso di confronto con i territori, ma non sembrerebbero esserci molti passi avanti rispetto alla prima stesura.
La Carta nazionale delle aree idonee a contenere un deposito di scorie radioattive va da nord a sud del Paese. La voce grossa la fa il Piemonte, soprattuto l’area dell’alessandrino, il Lazio, con il viterbese, la Basilicata, con il materano, e la Sardegna, con l’Alto Campidano. Non è stata esentata neppure la Toscana, con Campagnatico (Grosseto) e Trequanda (Siena), a ridosso con il sito Unesco della Val d’Orcia. Uno dei criteri che unisce le aree individuate, è il basso rischio di eventi sismici e le caratteristiche orografiche del territorio. Più la densità abitativa e la presenza di insediamenti urbani e industriali.
Quello che stupisce è che a più di un anno di distanza dalla prima pubblicazione, non sono stati evidenti passi in avanti. Certo, il confronto, con tanto di osservazioni e speculari, c’è stato, ma l’impressione è che la scelta sia un scoglio difficile da superare. Sembrerebbe quasi che i decisori prendano tempo in attesa che qualcuno si faccia avanti in autonomia: attratto dai grandi benefici economici derivanti dall’ospitare il deposito. Sia in termini di indotto che di ricadute occupazionali.
In Francia il ritorno ha pagato nel semplificare le cose. Non sembra che in Italia le cose stiano andando nello stesso modo, sebbene, soprattutto a nord, queste scorie, in attesa di una sistemazione definitiva, sia disseminate in varie zone. Comunque, il processo va avanti e la pattuglia è ancora nutrita.