FIRENZE – Sono poco più di 1800, secondo Irpet, le imprese toscane che esportano sul mercato russo: lo 0,5 per cento di tutte le aziende della regione,  con un’incidenza media sui fatturati dell’1,5 per cento. Le prime trenta aziende più esposte coprono da sole il 50 per cento delle esportazioni totali nel paese e si concentrano nei settori manifatturieri.

L’Irpet, l’istituto di programmazione economica della Regione, ha calcolato quanto il sistema produttivo toscano sia esposto rispetto alle domande di beni e servizi dalla Russia, quanto la Toscana dipenda dai prodotti russi per le sue produzioni, quanto la guerra potrà influire sui prezzi e di conseguenza sui bilanci delle famiglie (e quali famiglie).

Preoccupa scenario della guerra in Ucraina e dei rincari energetici, che non dipendono solo dal conflitto in corso in Europa. E lo spettro, dopo due anni di pandemia e recessione con il Pil che aveva finalmente ripreso a crescere,  della stagflazione, ovvero recessione e inflazione allo stesso tempo. Che non è ancora una previsione, ma rimane una possibilità in campo.

Se la Russia si isolasse e smettesse di fare acquisti, il Pil toscano si ridurrebbe di 0,6 punti percentuali: un impatto non trascurabile, ma neanche eccessivamente preoccupante. La più esposta è l’industria dei macchinari (dove le esportazioni in Russia pesano per quasi il 9 per cento del valore aggiunto di tutto il settore), a seguire industria estrattiva, meccanica di precisione, industria chimico farmaceutica e altri comparti della metalmeccanica. La moda dipende dalla domanda russa per l’1,1 per cento; ma visto il peso del comparto in Toscana, che vale oltre un quarto dell’intera produzione industriale, non è una cifra da poco.

Ma il rischio maggiore, analizza ancora l’istituto di programmazione economica della Toscana, si gioca sulle importazioni dalla Russia piuttosto che sulle esportazioni. Patiamo la dipendenza sul fronte energetico. Fare previsioni è complicato. I settori più esposti alla crisi sono comunque di nuovo quello estrattivo, della raffinazione petrolifera e delle utilities. Un terzo della produzione dei settori chimico-farmaceutico  e alimentare può risentire del blocco delle importazioni dalla Russia e un quarto della produzione del comparto moda. Il più esposto, tra i servizi, è il il settore di trasporto e magazzinaggio.

L’Irpet ha provato a fare una simulazione. Nel caso di un raddoppio dei prezzi delle materie prime provenienti dalla Russia, i prezzi alla produzione crescerebbero del 19,3 per cento per la raffinazione, del 3,6 per cento per l’estrattivo e dell’1,9 per cento per le utilities.  E se l’aumento coinvolgesse questi settori in tutto il mondo, l’impatto sui comparti più energivori sarebbe rilevante:  dalla lavorazione dei minerali  (tra l’11,4 e il 13,3 per cento di aumento), alla carta (+5,6 per cento) al chimico-farmaceutico (+5.9 per cento).

A cascata tutto ciò si ripercuoterebbe sui consumi anche delle famiglie. Il rischio è un’inflazione annua aggiuntiva del 3,5 per cento, con punte del 13,6 per cento sulle spese legate al riscaldamento e illuminazione della casa, del 6,1 per cento per interventi di manutenzione e acquisto di mobili,  il 7,7 per cento sui trasporti, l’1,5 per cento su alberghi e ristoranti.  Per i soli effetti di un eventuale raddoppio dei costi energetici i prezzi sugli alimentari rischierebbero di crescere del 2,7 per cento: ma se raddoppiassero anche i prezzi dei prodotti agricoli che la Toscana importa, si sommerebbe un incremento di altri 5 punti. E l’inflazione potrebbe arrivare all’8 per cento: anche in questo caso una scenario possibile e non una previsione.

Nel 2021 mediamente l’8 per cento del bilancio di ogni famiglia era destinato mediamente alle spese di energia elettrica, gas e carburante per l’auto.  A gennaio 2022, in conseguenza dell’aumento dei costi energetici registrati già prima del conflitto in Ucraina, l’incidenza delle tre voci aveva raggiunto il 13 per cento. La guerra, stima l’Irpet, rischia di portarla ora al 14 per cento (di cui il 4,6 per cento è il peso della sola componente dell’energia elettrica)l Sono 464 euro l’anno in più rispetto a quanto avremmo già pagato nel 2022 senza il conflitto ucraino. Un salasso, sommato agli effetti della crisi energetica indipendente dalla guerra, pari a 2200 euro di spesa media aggiuntiva a famiglia in un anno. Con un peso maggiore, in percentuale, sulle famiglie con i redditi più bassi, dove la spesa per luce, riscaldamento e carburante potrebbe incidere per oltre un terzo del reddito disponibile, quasi il doppio rispetto alla situazione precedente allo shock energetico  prima e agli effetti della guerra poi.