ROMA – La mappa dell’Italia è da allarme rosso. Dal rapporto 2021 dell’Ispra sul dissesto idrogeologico, emerge che il 94% del territorio nazionale è a rischio.
Le aree soggette a frana sono aumentate del 4% rispetto al 2017, mentre quelle per le alluvioni del 19%. In pratica circa un milione e trecentomila persone vivono in zone potenzialmente franose. Addirittura sette milioni in quelle alluvionabili. Le regioni con i valori più elevati di popolazione in queste aree sono Emilia-Romagna (quasi 3 milioni di abitanti a rischio), Toscana (oltre 1 milione), Campania (oltre 580 mila), Veneto (quasi 575 mila), Lombardia (oltre 475 mila), e Liguria (oltre 366 mila). Le cause vanno dalla morfologia del territorio, ai cambiamenti climatici al consumo di suolo.
Come ha fatto notare Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, l’incremento, in senso peggiorativo dei dati, non dipende tanto da un aggravarsi del quadro rispetto agli anni passati quanto da nuovi studi più dettagliati, che hanno evidenziato situazioni critiche prima sfuggite alle rilevazioni. Il rapporto 2021 sul dissesto idrogeologico allarga per la prima volta lo sguardo alle industrie e alle attività produttive situate in zone a rischio. Il dossier presenta un nuovo indicatore sugli aggregati strutturali a rischio frane. Le industrie e i servizi ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono oltre 84.000 con 220.000 addetti esposti a rischio; quelli esposti al pericolo di inondazione nello scenario medio sono oltre 640.000 (13,4% del totale).
“I dati e le mappe del rapporto vogliono rappresentare sempre di più un elemento fondamentale a supporto delle decisioni politiche di contrasto al dissesto idrogeologico, comprese quelle previste dal piano nazionale di ripresa e resilienza – ha affermato il presidente dell’Ispra, Stefano Laporta -. Nel Pnrr sono previsti interventi specifici nella prevenzione del dissesto idrogeologico che testimoniano quanto sia importante questa tematica per poter poi realizzare gli altri interventi previsti nel piano”. Uno dei pochi dati positivi risiede nello stop all’erosione costiera, che dopo 20 anni si ferma.