sede-mps-sienaDal 2008 – all’indomani dell’acquisto di Antonveneta – il Monte dei Paschi ha effettuato aumenti di capitale per 15 miliardi e 100 milioni. Una cifra enorme, che assomiglia al costo reale sborsato per il “pacco” bancario del secolo. Eppure la banca è ancora lì, protagonista di una dozzina di trimestrali sempre in rosso. E con i primi nove mesi dell’anno che segnano meno 1150 milioni. Nel contempo, i dipendenti che sono stati estromessi dalla banca, a partire dal 2011 (ultimo bilancio di Mussari) sono stati 3166 (ma come annuncia Viola saliranno a 5000), scendendo da 30424 a 27258. Le cifre le ha snocciolate a “Siena Diretta sera” su Siena Tv, l’ex sindaco Pierluigi Piccini.
E la politica non commenta con il vigore dovuto quello che dovrebbe commentare. Che non rientra nel quadro delle ponderate analisi tecniche. Aumento di capitale, fusione, spezzatino: le dichiarazioni sulle migliori ricette possibili, avanzate dai politici per arginare un disastro evidente, e che fanno parte di una classe politica che non si è rinnovata per davvero, fanno ridere. Ma su tre obiettivi di interesse generale, almeno un argine andrebbe posto: giù le mani dai dipendenti, mantenimento della direzione a Siena e poi ci sarebbe anche il tema dei piccoli azionisti gabbati e dei dipendenti della banca depauperati delle loro liquidazioni che i loro superiori invitavano a investire nella banca.
Per esempio il Pd, che dovrebbe difendere il lavoro e i diritti – a meno che non abbiano cambiato copione – dopo essere stato il perno politico dello sfascio, su tutto questo non ha nulla da urlare? Perchè le frasi articolate e ponderate nei comunicati stampa che alla fine mantengono il Pd nella scia di Profumo, come quello dopo l’aumento di capitale da 5 miliardi, non bastano davvero più.
Anche perché negli stessi anni in cui il Mps aumentava il suo capitale per 15 miliardi e passa, senza rimettere in rotta la nave, l’economia senese andava picco. La comparazione fra la discesa agli inferi della banca e il crollo del sistema economico senese è evidente anche nelle statistiche ufficiali della Camera di Commercio, che il presidente Massimo Guasconi ha riportato giovedì a “Siena Diretta sera”: dal 2008 ad oggi il manifatturiero senese ha perso il 35%, il commercio poco di meno.
E dietro i numeri ci sono posti di lavoro che se ne vanno, famiglie che ridimensionano i propri progetti di vita, negozi che tirano giù la saracinesca, pezzi del centro storico che appaiono desertificati, cantieri che chiudono. In una realtà quale quella senese, tante attività erano basate sulla circolazione di ricchezza che dalla banca derivava in modo diretto o indiretto. Solo nell’edilizia 500 imprese hanno chiuso i battenti. Il crollo della banca è stata come la deflagrazione di una bomba. Con effetti così devastanti che solo la politica collusa con lo scempio, non riesce ad affrontare con l’energia “rivoluzionaria” dovuta, nell’inutile tentativo di stemperare le proprie storiche responsabilità.
“Panorama” scrive “Siena decadence”; L’Espresso parla invece de “I fantasmi del Monte”. E si scrivono cose condivisibili e altre parecchio meno: si legge che a Siena “o si lavora al Monte o si vuole entrarci o si è pensionati del Monte”. Ecco su questi luoghi comuni bisognerebbe farla finita. C’è gente – ne conosco tanta – che dal Monte si è tenuta sempre alla larga, magari si è fatta il mazzo fuori Siena e avrebbe pensato di poter tornare, senza tante ambasce, a fare il pensionato nella città più bella del mondo. Che è stata invece, sporcata dal potere, e le ambasce ci sono per tutti.
Dovrebbe riflettere chi fa parte della nuova (?) classe dirigente della città, sulle due contemporanee uscite dei massimi settimanali nazionali, che bocciano non la “Siena da bere” degli anni mussariani. Ma la Siena attuale, che non riparte, che non ha cambiato marcia, che non ha chiuso i conti con i politici che si riunivano in una stanza, decidendo le strategie del Monte in base alle esigenze del Pd e al bilancino delle seggiole per le proprie correnti interne e gli sgabelli ai finti oppositori.
Purtroppo la politica che non cambia, finisce per produrre veri e propri danni di immagine alla città e ai cittadini. Prima asserviti, oggi addormentati. La marcia dei 500 della scorsa settimana, almeno consente di dire: non tutti addormentati. Ma per risvegliare le coscienze, il senso di appartenenza, l’amore per la propria città che si tramuta in orgoglio del fare, la strada è ancora lunghissima da fare. E non se ne vede la fine. Né chi possa indicare la rotta.