SIENA – Lo smart working permette di raggiungere livelli di produttività nettamente più elevati rispetto a quelli possibili sul posto di lavoro. E’ quanto emerge dalla ricerca Remote working class realizzata da Pippo Russo, professore del dipartimento sociologia dell’Università di Firenze, e commissionata da Fisac Cgil Toscana e Fisac Cgil Siena.
Quiriconi (Cgil Toscana): «Preludio ad un profondo cambiamento delle condizioni di lavoro»
L’indagine è stata svolta in via telematica nel periodo dicembre 2020-marzo 2021 intervistando 41 lavoratori impiegati nel settore del credito (Monte dei Paschi di Siena, Intesa San Paolo e Nexi), 22 donne e 19 uomini. «Emergono, insieme ai vantaggi, i limiti, le paure, i rischi e le insofferenze per una situazione determinata da forza maggiore, ma che può essere il preludio ad un profondo cambiamento delle condizioni di lavoro, della sua organizzazione, del modello di contrattazione» ha detto Daniele Quiriconi, segretario generale di Fisac Cgil Toscana.
Seggiani (Cgil Siena): «Necessario considerare anche le ricadute che il lavoro da remoto ha sull’intera economia»
«Dato che nel post-pandemia questa modalità lavorativa continuerà ad essere applicata, è assolutamente necessario considerare anche le ricadute che il lavoro da remoto ha sull’intera economia di un territorio come quello di Siena, a partire dalle ripercussioni sui lavoratori e sulle lavoratrici che operano nel settore dei servizi e degli appalti» ha aggiunto Fabio Seggiani, segretario generale Cgil Siena.
I risultati della ricerca
In particolare dalla ricerca emerge come lo smart working sia “un grande equivoco e che comunque, secondo la gran parte delle opinioni espresse, non corrisponde alla modalità adottata a partire da marzo 2020 con le ondate successive di confinamento”. Una modalità di lavoro che secondo gli intervistati “nella sua dimensione generalizzata è stata adottata in emergenza e senza che ne fosse stato proposto un rodaggio da farsi in condizioni di normalità, come invece sarebbe stato auspicabile”. Dalla ricerca emerge anche come “le condizioni di isolamento permettono di raggiungere gradi di concentrazione e continuità spesso impossibili sul posto di lavoro” con la conseguenza che “si lavora di più nello stesso arco di ore, ma anche che si sfori l’orario di lavoro senza che ve ne sia reale necessità” con “una pericolosa tendenza a veder svanire il confine fra tempo di vita e tempo di lavoro”. Motivo per cui secondo Russo «il diritto alla disconnessione dovrebbe essere un obbligo».