La Toscana è un territorio ricco, sano e per questo appetibile per le organizzazioni mafiose sempre più alla ricerca di investimenti sicuri dei capitali che provengono dalle attività illecite propriamente dette, quali il traffico degli stupefacenti, la ricettazione e la prostituzione.

Quando le mafie compenetrano l’economia sana ne alterano gli equilibri, a iniziare dalla concorrenza che diviene sleale e finisce con il procurare danno alle imprese sane, arrivando ad inquinare interi comparti e settori economici. E’ questo il quadro che è emerso dal Quarto Rapporto sui fenomeni di criminalità organizzata e corruzione in Toscana, realizzato dalla Regione in collaborazione con La Scuola Normale Superiore di Pisa, riferito all’anno 2019. Dal report, tornato di attualità dopo l’inchiesta della Dda di Firenze sulle possibili infiltrazioni della ‘ndrangheta in Toscana, si ha un quadro peculiare e in evoluzione del fenomeno mafioso in Toscana.

Un focus nato con l’intenzione di fornire un quadro aggiornato e complessivo delle dinamiche corruttive e di infiltrazione mafiosa nel tessuto socio-economico della Toscana con particolare riferimento al ruolo delle attività professionali. Insieme ad una conoscenza sulle casistiche corruttive e di infiltrazione mafiosa emerse in questi anni sia a livello locale che nazionale, il rapporto è stato l’occasione per offrire una ricognizione organica sia delle vulnerabilità e criticità rispetto al mondo delle professioni, sia delle buone pratiche già sperimentate in ambito nazionale per la promozione di un’etica della responsabilità e dell’integrità in questi settori in collaborazione con la pubblica amministrazione e gli operatori economici del tessuto regionale.

Secondo il rapporto, illustrato da Alberto Vannucci e Salvatore Sberna dalla Scuola Normale di Pisa, il radicamento nel tessuto economico avviene per mezzo di professionisti locali che conoscono le realtà territoriali e per questo sono in grado di fornire, attraverso attività di lobbying, informazioni utili per muoversi con disinvoltura. Ma non ci sono solo le informazioni, perché questi professionisti finiscono con l’operare per questi soggetti, mettendoli in relazione con le infrastrutture statali, cosa che avviene per mezzo del coinvolgimento di funzionari e dirigenti di enti territoriali che consapevolmente o meno finiscono con dare una parvenza di legittimazione al sistema di relazioni deviate, fungendo da “cemento fiduciario delle relazioni opache tra illecito e lecito”, come sostenuto dal professor Vannucci.

Ci vogliono “antenne sensibili alla presenza di fenomeni mafiosi e corruttibili, – ha detto Vannucci – e al tempo stesso ci vuole di attivare una sensibilizzazione pubblica, civica”.

Sempre secondo quanto emerso dal rapporto, in Toscana, così come più in generale in Italia, le nuove forme di corruzione organizzata mostrano uno spostamento del baricentro invisibile dell’autorità di governo degli scambi occulti dagli attori partitici e politici – secondo il vecchio modello di Mani pulite – da un lato verso dirigenti e funzionari pubblici e dall’altro verso una vasta gamma di attori privati. Il prezzo di scambio avviene nell’area grigia che si viene a creare, ha natura opaca dove si naviga tra il lecito e l’illecito, non sono la mazzetta o la tangente, gli atti di ufficio descritti dal codice penale diventano impalpabili, si diluiscono in un intreccio di relazioni opache, compensazioni incrociate, scambi in natura, contropartite pulite e fatturate.

Il professor Alberto Vannucci ha mostrato le cifre statistiche della banca dati elaborata dei fenomeni mafiosi e di corruzione in Toscana. A iniziare dai settori interessati, qui salta all’occhio la differenza con il dato nazionale riguardante il sistema delle nomine e degli incarichi, ma anche dei controlli.

Riguardo al tipo di attore pubblico coinvolto in regione Toscana risalta la mancata individuazione del soggetto politico, ma l’elevata incidenza di funzionari e dipendenti pubblici. “La merce di scambio della corruzione sul versante pubblico sono soprattutto le decisioni discrezionali, ma anche le non decisioni, quindi il non decidere, l’astenersi dal decidere, quindi tipicamente non effettuare un controllo ad esempio – spiega Vannucci – ma anche a livello nazionale riguardano decisioni di più ampio respiro. Verrebbe da dire una corruzione che in molti casi, a livello nazionale più che nel caso toscano, arriva a condizionare le scelte di programmazione politica, vale a dire la stessa definizione degli interessi collettivi che vanno tutelati e salvaguardati”.

Sul tipo privato di attore coinvolto la differenza con il dato nazionale che salta agli occhi è la più bassa individuazione di imprenditori e la più elevata incidenza di cittadini comuni di nazionalità italiana, stranieri e di professionisti.

Per Vannucci “l’incertezza è il terreno che favorisce la coltura dei fenomeni corruttivi che bisogna combattere con la buona pratica, una elevata formazione sul tema rivolta ai funzionari pubblici, la trasparenza e i controlli successivi, non solo procedurali”.

Salvatore Sberna ha spiegato come il fenomeno mafioso in Toscana possa avere una compenetrazione e un radicamento, arrivando a sfiorare numeri record, come quelli che si registrano a Prato che è la prima provincia in Italia per numero di segnalazioni di operazioni sospette e per il riciclaggio, addirittura superiore a Milano che è la capitale finanziaria nazionale.

‘ndrangheta Toscana, don Bigalli: Politica riottosa a ammettere infiltrazioni

“In Toscana – ha detto Sberna – l’indagine della scorsa settimana sembra dimostrare come in alcune circostanze si utilizza il metodo mafioso per acquisire fette di attività economica, fette di mercato a livello territoriale”. Ciò avviene attraverso un mimetismo ambientale che mette in difficoltà le capacità di riconoscimento sia da parte delle autorità istituzionali, ma anche da parte del mondo plurale delle professioni”.

Il primo obiettivo delle mafie in Toscana è quello di condizionare il sistema economico, attraverso attività di riciclaggio e attraverso una attività di manipolazione dei principi della libera concorrenza.
Il ricercatore della Normale ha evidenziato come “La Toscana risulta essere la prima regione in Italia, (escludendo le regioni del sud dove le mafie svolgono un controllo territoriale), per numero di persone denunciate per aggravante mafiosa, per aver agevolato o utilizzato il metodo mafioso nel compiere determinati delitti”.

Inchiesta ‘ndrangheta in Toscana, la testimonianza dell’agricoltore.

Il dato dei beni confiscati alle mafie in Toscana ci dice che al 2019 prevalevano gli investimenti nel settore immobiliare, ma la crisi economica legata al Covid cambierà sicuramente tale tendenza, in quanto procurerà una maggiore compenetrazione dei soggetti mafiosi nell’economia reale che registra scarsa liquidità dovuta alle chiusure per la pandemia. Su questo aspetto si è soffermato il prefetto di Firenze, Alessandra Guidi: “La Toscana è ricca e per questo c’è il rischio elevato di avere forti infiltrazioni in quanto le mafie sono alla ricerca di settori produttivi in cui investire. In epoca covid questo rischio aumenta in misura esponenziale”. Per contrastare questa ipotetica quanto certa tendenza che si avrà, il prefetto ha spiegato l’importanza di un’azione preventiva di controllo da parte delle amministrazioni territoriali preposte al rilascio delle licenze.

Il prefetto ha parlato della necessità di “comunicazioni intelligenti”, basate su dati analizzati ed elaborati soprattutto per ciò che riguarda il settore del commercio e del turismo dove non è prevista la certificazione di controllo antimafia e misure interdittive di contrasto preventive. Le parole del prefetto risuonano come un monito d’allarme grave, bisogna: “Mettere al sicuro il sistema degli esercizi commerciali in modo da garantire l’economia lecita, evitando che le imprese infiltrate soffochino le imprese sane portandole al fallimento”.

Per questo motivo viene richiesto alle amministrazioni pubbliche e locali che conoscono la realtà delle imprese una attività di intelligence che garantisca notizie qualificate atte a far sì che possano essere emesse informazioni interdittive anche nel settore del commercio. Analogo appello il prefetto lo rivolge alle organizzazioni sindacali e agli operatori professionali che avendo rapporti di prossimità con il mondo del lavoro può disporre di informazioni capillari e precise.