E’ uno degli ambiti sociali più toccati dagli effetti della pandemia e uno dei modelli che, sicuramente, più è entrato in crisi dalle continue aperture e chiusure dettate dai provvedimenti di contenimento del contagio dal virus Sars-Cov-2.

Sulla scuola, sull’adozione del modello di didattica a distanza e sulla sua efficacia in tutti questi mesi non si è mai smesso di discutere. Spesso, senza arrivare a soluzioni che potessero, in qualche modo, dare certezze a famiglie, studenti e insegnanti. E così, in quella che a tutti gli effetti è diventata un’emergenza psicologica, a dover ripensare il proprio modello organizzativo è stata l’istituzione scuola, con tutte le conseguenze che questo ha comportato. Di tutto questo e per provare a comprendere meglio le dinamiche che in questo anno hanno vissuto insegnanti, studenti, famiglie e dirigenti scolastici, abbiamo parlato con Lisa Buciunì, docente di italiano e latino dei Licei Poliziani di Montepulciano (Siena).

La pandemia ha sconvolto l’organizzazione scolastica. Come è cambiato il ruolo dell’insegnante in questo ultimo anno?

In questo difficile momento di emergenza i cambiamenti a scuola si sono verificati non soltanto a livello organizzativo e didattico, ma anche e soprattutto sul piano relazionale: il distanziamento, a cui siamo stati tutti costretti e a cui purtroppo abbiamo dovuto abituarci, ha modificato profondamente anche la relazione fra docenti e discenti, ponendo forti limiti a quello scambio che è alla base dell’apprendimento. Ciò è stato senza dubbio avvertito dagli studenti, che hanno manifestato spesso disagi legati alla mancata presenza dell’insegnante in classe o all’impossibilità di un approccio più vero e diretto con il docente in caso di DAD. Ecco che noi insegnanti abbiamo dovuto e voluto sopperire a tali mancanze con un supporto che in molti casi è stato anche psicologico, garantendo comunque ai ragazzi la possibilità di contare su figure di riferimento vicine alla loro situazione seppur distanti.  Pertanto più spesso che in passato ci siamo trovati a svolgere anche il difficile compito di assicurare un costante sostegno psicologico ai nostri studenti, affinché il distanziamento non annullasse quella relazione che certamente è alla base dell’apprendimento e della crescita individuale.

La nuova modalità di insegnamento a distanza quali limiti ha presentato e quali vantaggi?

Il ricorso alla DAD, svolta quest’anno al 50% o al 100%, ha sicuramente avuto il vantaggio di assicurare la continuità dell’attività didattica e di impedire l’interruzione delle lezioni, che avrebbe compromesso del tutto il lavoro annuale. Ma, allo stesso tempo, la DAD ha fatto emergere non tanto problemi legati ad aspetti tecnici quali connessioni e dispositivi informatici, quanto piuttosto un forte divario fra coloro che, più autonomi nello studio, sono riusciti ad adattarsi in maniera proficua a questo nuovo modo di fare scuola e coloro che invece, più in difficoltà perché più bisognosi di un assiduo supporto dell’insegnante in classe, hanno manifestato un calo non solo nel rendimento ma anche a livello motivazionale. Gli studenti validi, seppur stanchi psicologicamente, hanno mantenuto in linea di massima i ritmi di lavoro e i risultati di sempre, salvo alcune eccezioni; quelli più fragili quanto a capacità, motivazione e interesse, hanno invece mostrato ulteriori elementi di debolezza.  Pertanto la DAD, lungi dall’essere esempio di didattica inclusiva, ha certamente accentuato queste differenze, determinando in molti casi un rallentamento o addirittura un’esclusione dei soggetti più deboli.

È un modello che potrebbe essere replicato, in parte, anche in futuro?

La didattica a distanza è senz’altro una misura emergenziale e una soluzione necessaria e urgente qualora sia impossibile frequentare gli ambienti scolastici. Credo però che sia condivisibile l’opinione secondo cui la DAD non debba affatto diventare un modello di scuola da adottare in condizioni di normalità; ad essa dovremo dunque ricorrere anche in futuro solo se si ripresenteranno situazioni di emergenza e di assoluta necessità.

Il nostro sistema scolastico quanto ha faticato ad adattarsi a questa nuova esigenza? In cosa è mancato? In cosa era pronto?

L’adozione tempestiva della didattica a distanza sin da marzo 2020 in molte scuole italiane è stata possibile grazie soprattutto all’impegno e alla buona volontà dei Dirigenti Scolastici, dei docenti e delle famiglie coinvolte. È stata dunque una misura straordinaria che in concreto è partita dal basso e che si è davvero realizzata grazie all’iniziativa dei Dirigenti, che hanno individuato le modalità e gli strumenti più idonei, e degli insegnanti che, seppur digiuni in molti di conoscenze e competenze informatiche, si sono messi in gioco per far fronte all’emergenza e per proseguire così il lavoro avviato in classe. Tale riorganizzazione della didattica ha richiesto ovviamente impegno e fatica, ma non c’è dubbio che il sacrificio dello scorso anno ha permesso di ripartire quest’anno in maniera più sicura e competente. Oltre alle spese effettuate per mettere in sicurezza gli ambienti scolastici, la scuola ha provveduto alla stesura di un Regolamento DDI, che ha avuto lo scopo di stabilire norme condivise e adottate da tutti sia per regolare i tempi e i modi di svolgimento delle lezioni, sia soprattutto per organizzare le verifiche, che da subito hanno rappresentato il problema più urgente. Sulla conduzione delle verifiche e sulla valutazione delle stesse rimangono tuttavia dubbi e opinioni discordanti e, a tale proposito, credo che sia ancora necessario un confronto fra i docenti.

Insegnanti e alunni. Come vi siete dovuti reinventare questo rapporto?

Alla luce della mia personale esperienza posso affermare che non è stato necessario tanto reinventare il rapporto fra insegnanti e alunni, quanto rafforzare certi aspetti propri di questa relazione, quali la fiducia reciproca e la collaborazione, che si sono rivelate indispensabili in un momento in cui è venuta meno la vicinanza fisica. Noi docenti, nella maggior parte dei casi, abbiamo cercato di comprendere i disagi e le difficoltà dei ragazzi, così che abbiamo ripensato la didattica non solo tenendo conto di tempi e metodologie differenti, ma anche creando occasioni di confronto e di dialogo con i ragazzi sia a livello collettivo, sia più spesso a livello individuale. Ovviamente ciò non si è verificato sempre e in ugual misura in tutte le classi: in certe situazioni è stato necessario richiamare i ragazzi ad un comportamento responsabile e rispettoso delle regole. Ma devo ammettere che poche volte ho notato un atteggiamento oppositivo e di chiusura degli alunni nei confronti dei docenti e viceversa.

Credo che il segreto per garantire un apprendimento collaborativo anche in DAD sia stato quello di non avere paura di mettersi in gioco e in discussione e di condividere con i ragazzi dubbi e perplessità, che poi spesso si sono rivelati comuni. Sono infatti dell’idea che i risultati più scadenti in termini di relazione fra docenti e discenti si siano visti laddove sono venute a mancare la condivisione, la fiducia, la sensibilità, l’apertura verso l’altro e la solidarietà, che in un momento buio come questo è stata un’ancora di salvezza per tutti, anche per noi insegnanti che in tale situazione siamo comunque vulnerabili.

Quella che stiamo vivendo non è più solo un’emergenza sanitaria ma psicologica. Quali segnali ne percepisce da insegnante?

Sono assolutamente d’accordo con questa analisi: ormai l’emergenza da sanitaria è divenuta psicologica e ciò è senza dubbio evidente nel contesto scolastico, dal momento che sono proprio gli adolescenti che manifestano i maggiori disagi in tal senso.

Lo scorso anno questo tipo di emergenza si è fatta meno sentire ed era meno visibile, forse perché ancora i ragazzi nutrivano la speranza di uscire presto dalla condizione di isolamento e di solitudine a cui erano loro malgrado costretti e credevano di recuperare presto le relazioni sociali fuori e dentro la scuola. Adesso la situazione si è aggravata: molti dei nostri studenti hanno mostrato chiari segni di insofferenza, che, in alcuni casi, si sono tradotti in un calo della motivazione e in una diminuzione di stimoli culturali; in altri casi purtroppo le conseguenze sono state più preoccupanti e infatti è tuttora in aumento il numero di coloro che manifestano disturbi di vario genere, quali ad esempio attacchi di ansia, momenti di sconforto e di sfiducia in se stessi, stati depressivi, disturbi del comportamento alimentare e difficoltà relazionali.

Testimonianza di questo è la crescente richiesta, da parte degli studenti, di una consulenza psicologica di esperti che, presenti nelle scuole, forniscono un supporto non solo a studenti, ma anche a docenti e familiari di fronte a traumi legati all’emergenza Covid 19. Alunni e genitori hanno confermato come la situazione sia ormai critica a livello psicologico e come sia sempre più difficile per i giovani reagire a questa crisi sia in ambito familiare sia sul piano didattico. Studenti anche validi e volenterosi hanno apertamente dichiarato di avere problemi di concentrazione nello studio e nello svolgimento dei compiti: il maggiore tempo a disposizione, infatti, non permette loro di sfruttare efficacemente i pomeriggi di studio e, nonostante le ore passate sui libri, trovano difficoltà a ottenere da loro stessi ciò che prima riuscivano ad apprendere in minor tempo.

La stanchezza psicologica infatti rallenta in molti casi i ritmi di lavoro e spesso li vanifica, facendo avvertire ai ragazzi un senso di inadeguatezza e di sconfitta personale. Ed è per questo che adesso più di prima la scuola deve essere presente nella vita dei giovani, affinché possa rappresentare un punto fermo in un momento storico di grande disorientamento.

Pensa che i nostri studenti potranno risentire, in futuro, i limiti di aver vissuto questo percorso formativo?

Per quanto i docenti e i genitori si impegnino per aiutare i ragazzi in un periodo così difficile, è però certo che i nostri studenti si stanno perdendo, in questi mesi, importanti occasioni di crescita personale e scolastica. Le classi del biennio liceale, ad esempio, hanno vissuto solo in parte l’esperienza della scuola superiore e probabilmente sono proprio loro i più penalizzati: oltre a doversi adattare a una didattica a distanza o solo parzialmente in presenza, hanno dovuto rinunciare sin da subito a tutte quelle iniziative che, realizzate parallelamente alla regolare attività didattica, hanno sempre rappresentato momenti di aggregazione, di crescita personale e di arricchimento culturale (gite, scambi e settimane studio, conferenze, incontri, progetti). Non è quindi errato, né tantomeno esagerato, affermare che nel loro percorso formativo è venuto a mancare un tassello importante e forse indispensabile.

Ai suoi alunni che consigli si sente di dare per riuscire a mantenere un percorso formativo adeguato nei prossimi mesi?

Il consiglio che vorrei dare a tutti gli studenti perché affrontino al meglio questi ultimi mesi di scuola è quello di continuare a farsi guidare nel lavoro e nello studio dall’entusiasmo e dalla curiosità, anche se la situazione attuale mortifica spesso gli sforzi. Chiedo però ai miei alunni anche di riflettere su ciò che in questi ultimi tempi ci è stato tolto e abbiamo perduto. Io sono assolutamente convinta che l’assenza di giorni di scuola in presenza abbia fatto davvero capire a tutti noi l’importanza e il fascino di vivere appieno la vita scolastica e, di conseguenza, abbia rafforzato quel senso di appartenenza a una comunità che può crescere solo con la frequentazione, con la relazione e con la convivenza.

Dovessimo pensare alla fine della pandemia. Che scuola si immagina?

La scuola che immagino alla fine di tutto questo è quella che ho vissuto, prima da studente e poi da insegnante, fino a un anno fa: una scuola che sia innanzitutto in presenza, che garantisca un reale e concreto rapporto fra insegnanti e alunni senza il filtro di uno schermo e che torni ad essere un ambiente da condividere. Credo infatti che i termini scuola e distanza siano profondamente in antitesi e che è inammissibile pensare che la didattica a distanza sia una valida alternativa alla didattica in presenza.