Basta non risolvere i problemi. O comunque, basta non “metterci mano”. Convinti che, magari, i problemi si risolvano da soli.
In Italia, poi, c’è sempre la formuletta giusta da esibire: «il problema è più vasto e complesso», si dice. Qualsiasi occasione è buona per ribadirlo, che si tratti della regolamentazione della caccia e della pesca, dell’assenteismo negli uffici pubblici o dei tagli alle Usl.
Ebbene: prima di continuare a vedere partite farsa come Napoli-Roma, per esempio, io comincerei a dare una bella sfoltita al cosiddetto “tifo organizzato”. Senza più correre il rischio di sprofondare in quel magma scivoloso dove la colpa è della società, delle periferie, del degrado, del nichilismo e, quindi, di nessuno.
Togliete gli Ultras, e risolverete un bel pezzo di problema… Quelli che un bel giorno si sono presi gli stadi, se ne sono appropriati ed hanno messo in circolo la moneta cattiva che, fatalmente, ha scacciato quella buona (cit. Gesù Cristo). Loro, e tutti quei legislatori più o meno cialtroni che gli hanno permesso di proliferare. Non c’è molto altro da dire: il problema si annida lì. Il resto è tutta roba che serve per sfamare sociologi, antropologi ed opinionisti che frequentano i pomeriggi di Barbara d’Urso e Cristina Parodi.
Leggevo l’altro ieri sulla Gazzetta dello Sport un’intervista a Sergio Santarini, che fu libero e capitano della Roma negli anni sessanta-settanta. Non si capacitava, quel vecchio calciatore, di come una partita come Napoli-Roma fosse diventata quello che è diventata; e ricordava aneddoti spassosissimi di tifo e folklore che ne facevano una “Festa di Calcio” colorata e irresistibile.
Ci sono partite che hanno ispirato cinema e letteratura, e penso a Bologna-Fiorentina raccontata da Stefano Benni o a Roma-Lazio interpretata da Vittorio Gasmann. Ebbene, quelle partite sono improvvisamente diventate irrespirabili. E sapete perché? Perché gli Ultras, delle cosiddette “Feste del Calcio” non sanno che farsene. Anzi, di queste “Feste del Calcio” se ne sono appropriati e le hanno ben presto trasformate in vetrina per esibire la loro “potenza”.
Rischio di apparire impopolare. Fosse per me, chiuderebbero bottega domattina. Loro e tutto quell’armamentario che sfoderano negli striscioni fatto di “onore”, “valore”, “tradizione”, “distinzione” e altre parolone usate quasi sempre a sproposito. Non so più che farmene dei loro “beau geste” tipo le collette agli alluvionati, quando poi mi costano il quadruplo in polizia e carabinieri per un normalissimo Atalanta-Brescia (o Bari-Lecce, o Nocerina-Salernitana).
Dice: «E i cori? E le coreografie? Cosa sarebbe il calcio senza tutto questo?»
Dipende dal prezzo che si deve pagare. E poi non sta scritto da nessuna parte che insieme ai cori, e alle coreografie, si debba allegare quell’atmosfera plumbea e intimidatoria che si respira quasi sempre negli stadi.
Questa gente mi ha stufato. Non mi affascina, non mi diverte, non la trovo né eccitante né funzionale.
Mi dispiace