Tutte le banche italiane sapevano da tanto tempo che c’erano gli stress test europei. Due sono state bocciate: una la Carige, era già pronta e ha praticamente già ovviato alla necessità di ulteriore patrimonializzazione. Il Monte dei Paschi, a cui la Bce manda a dire che sono necessari altri 2111 milioni,, invece naviga in mezzo a soluzioni che non si conoscono. Dopo aver perso in un lunedì nero di Borsa, il 20% del suo capitale, ed essere sceso quindi ad un valore di 4 miliardi contro i 5 dell’aumento di capitale di pochi mesi fa, il Monte sembra navigare in mezzo a soluzioni varie. Tra tagli, ritagli, aggregazioni e fusioni, si sa solo che Ubs è l’advisor voluto da Profumo e che Citigroup è quello voluto dai pattisti. Unica cosa certa è che il tandem Profumo-Viola punta a dilazionare il rimborso dei Monti Bondi, “ritagliandolo” per circa 750 milioni, in modo da scalare a 1300 milioni il conto preparato dall’Europa. Che, è bene precisarlo, rifarà le bucce anche al Piano della banca presentato a suo tempo. Per il resto, tutto resta da capire. C’è da giurarci che la soluzione arriverà a ridosso del 10 novembre, già cotta e mangiata.
In ogni caso, dalle previsioni iniziali del management della banca, che puntavano a un miliardo di capitale, poi cresciuto a 3, poi a 5, ora a sette miliardi, si è arrivati adesso ad un passo dalla totale trasmutazione genetica del Monte. E sì che alla festa de l’Unità dell’agosto 2012, con lo spread allora a 530 punti, Profumo disse a chiare note: «Se lo spread abbassa sotto i 200 punti, risulterà vincente il nostro Piano industriale» senza bisogno di aumenti di capitale. E invece è stata una rincorsa continua a patrimonializzazioni sempre più ingenti, in alternativa con bilanci sempre in rosso. Questi sono i fatti che Profumo e Viola, potrebbero almeno riconoscere. Gli antefatti, ovviamente, quelli della precedente gestione fallimentare, hanno pesato molto sul loro operato. Ma è certo che la gestione Profumo-Viola non ha invertito la direzione di marcia della banca senese. Ciò che accade in questi giorni, probabilmente, era in gram parte già scritto nel novembre 2011. Nel corso di una drammatica riunione, i vertici della Banca d’Italia reclamarono dall’allora presidente del Monte dei Paschi, Giuseppe Mussari e dall’allora presidente della Fondazione Mps, Gabriello Mancini, una repentina “discontinuità” ai vertici. Furono i tecnici di via Nazionale, e non la politica, a coniare questo termine, alla luce della situazione disperata della banca senese.
Quello che resta da capire, di qui al repentino d-day del 10 novembre, quando Mps dovrà dire all’Europa come intende agire, è quanto tutto questo, tra tagli, ritagli, aggregazioni e fusioni, si ripercuoterà sull’occupazione. Quanti dipendenti se ne dovranno andare oltre ai 1334 già “scivolati” o “esternalizzati”.
Di fronte a tutto questo, il sindaco Bruno Valentini e il parlamentare del Pd Luigi Dallai, riconoscono a «Profumo e Viola un lavoro importante». Il rettore Angelo Riccaboni dice che i due manager «meritano fiducia». Il Premier afferma che quello di«Mps non è un caso irrisolvibile» e se la Gruber non lo avesse interrotto, a “Otto e mezzo”, Renzi avrebbe presumibilmente concluso la frase mozzata «Mi pare che i vertici….» , quantomeno con un incitamento. L’applausometro è piuttoso generalizzato, dunque. Si vede che va bene così.
Il presidente della Fondazione Mps, Marcello Clarich, si è affrettato subito a dire di esser pronto ad eventuali aumenti di capitale, solo poche ore dopo l’esito nefasto degli stress test. E questo dopo aver perso già 60 milioni nelle more di quello che è capitato nelle ultime vicende. Perchè tanta fretta? O non s’era detto che sarebbe stata recuperata autonomia? Che la Fondazione avrebbe dovuto diversificare? E invece, in tutta fretta ancora al carro della banca, come prima più di prima, per l’ennesimo aumento di capitale? Perchè la città lo vuole? Come del resto c’era scritto sopra la testa di Clarich alla Festa de l’Unità alla Lizza, durante il suo esordio alla festa piddina.
Tutto a Siena pare accadere come se fosse ordinario, come se lo scempio fosse derivato da un qualche virus. Senza reazione. Senza che la classe politica dominante sappia interpretare la rabbia e la delusione dei cittadini, figuriamoci quel rinnovamento, che il Pd torna ad annunciare, come quel cartello che un arguto fruttivendolo esponeva fuori dal negozio: “Domani tutto gratis”. E lo teneva sempre lì.
Ma la città, salvo i piccoli azionisti che reclamano di sapere che fine faranno i loro investimenti, non fermenta poi più di tanto. E chi è al potere confida ovviamente sulla mesta rassegnazione inerme dei senesi. Le opposizioni annunciano una marcia del silenzio anti-sistema: la partecipazione – se posso permettermi una previsione – sarà molto minore di quel corteo che vide pochi mesi fa un migliaio di sportivi, sfilare in corteo reclamando soluzioni per il Siena. Perchè? Tutti pavidi, tutti connessi al cosiddetto groviglio, i senesi? Forse in gran parte molti sono attoniti, stremati dalle continue batoste, distratti dalla stessa bellezza della nostra città e dalla meraviglia di relazioni sociali ancora forti come quelle all’interno della tradizioni contradaiole. Molti giovano dei risparmi di famiglia, di riserve economiche personali comunque ancora non attaccate.
E allora in pochi alzano la voce. Quando siamo andati in giro per la città, con la telecamera di Siena TV, a raccogliere pareri sulla bocciatura del Monte, tantissimi non hanno voluto parlare. Racconta Tommaso Salomoni – il cronista che raccoglieva le interviste – su Fb: «La maggior parte dei rifiuti sono stati per questi motivi: “Non posso, sono un dipendente…”, oppure “non posso sono un ex dipendente”, oppure “non posso ho mio marito che ci lavora”, oppure “non posso ho il mi figliolo che ci lavora»”. E Salomoni conclude: «Sono curioso di effettuare di nuovo l’esperimento tra 10 anni». Anche io: fortemente preoccupato di quello che sarà di Siena tra dieci anni, per via dello scempio operato nel passato, ma anche dell’inerzia diffusa che caratterizza il presente.