Dal Corriere Fiorentino del 28 ottobre 2014
Tra sei mesi scadono gli attuali vertici del Monte dei Paschi. Ed è perfino naturale chiedersi se l’onda lunga della bocciatura della banca senese negli stress test europei, avrà ripercussioni nelle scelte del presidente e del Cda nell’aprile 2015. Il presidente Alessandro Profumo, qualche mese fa, a chi gli chiedeva quali fossero le sue intenzioni rispetto al futuro, rispondeva a dentri stretti: «So solo che scado ad aprile». Ma l’incognita è totale e forse solo lo stesso Profumo sa già cosa fare: preparare la valigia, oppure continuare a tentare di tirar fuori il sangue dalle rape di una banca spolpata fino all’osso dalla precedente fallimentare gestione, e non rianimata da quella attuale. Perchè ciò che accade in questi giorni, probabilmente, era già scritto nel novembre 2011. Nel corso di una drammatica riunione, i vertici della Banca d’Italia reclamarono dall’allora presidente del Monte dei Paschi, Giuseppe Mussari e dall’allora presidente della Fondazione Mps, Gabriello Mancini, una repentina «discontinuità» ai vertici. Furono i tecnici di via Nazionale, e non la politica, a coniare questo termine, alla luce della situazione disperata della banca senese. Da allora, bilancio ancora in rosso, aumenti di capitale. Ma poco o nulla. La banca non accenna a ritorni alla redditività: pesano i miliardi volati via nell’affare-Antonveneta, ma anche i 30 miliardi di titoli di Stato che il Monte ha in pancia, e che rendono solo briciole di interessi. Di fronte a tutto questo la città è attonita, tramortita. Domenica ha atteso il verdetto della Banca Centrale Europea, palpitando appena per il pareggio a reti bianche del Siena in casa con il Ponsacco, in serie D. E la risicata vittoria della Mens Sana a Monsummano. Ma ora le partite sono altre. E dopo aver perso quella di Siena capitale europea della cultura, ancora l’Europa boccia il sogno della ripartenza della banca.
In tutto questo, chi, soprattutto da fuori, pensasse alla preparazione delle antiche scorribande della politica senese in vista della scadenza dei vertici della banca, rischia di fare un errore di sopravvalutazione: ogni magheggio politico ha il sapore dei combattimenti tra “ultimi giapponesi”, senza peso e senza futuro. Roba che serve più che altro a contarsi nei congressi, ma ormai autoreferenziale, visto che il partito con più iscritti e con più responsabilità sullo sfascio, il Pd, di tessere in città ne conta ormai poco più di 350. Neppure il carro di Renzi a Siena tira come nel resto del Paese. Spersi in mille rivoli, contrapposti gli uni agli altri, i renziani senesi, non riescono a esprimere un candidato neppure per i congressi locali, figuriamoci se possono andare a bussare alla porta di Renzi per condividere operazioni. Siena, in realtà, è come un iceberg che va alla deriva nell’Oceano gelato dei propri errori. Non la salverà la politica. E neppure la mano fatata di Renzi. O tornano a scattare antichi orgogli di comunità e sepolte capacità, oppure le presunte battaglie per il potere, potranno alimentare solo gli effimeri strali dei commentatori nazionali contro la città degli scandali.