Un’unica opera di Giotto, la splendida Madonna di San Giorgio alla Costa, sarà in esposizione nella chiesa di San Franceschetto a Lucca fino all’8 dicembre. Giotto, unanimemente riconosciuto come il primo grande iconografo di San Francesco e come il più diretto interprete artistico della poetica di fede, vita e sensibilità del santo, realizzò quest’opera, databile intorno al 1295, negli anni della sua giovinezza. L’esposizione è stata promossa per celebrare degnamente la riapertura del Complesso Conventuale di San Francesco a Lucca. L’operazione vuole essere il coronamento di un percorso artistico forte e radicato nell’area lucchese, dove esistono già significative testimonianze della pittura antecedente alla rivoluzione operata da Giotto.

Un lungo restauro cominciato la notte dell’attentato dei Georgofili – La Madonna di San Giorgio alla Costa, prima opera di Giotto ospitata a Lucca, costituisce così una sorta di tassello mancante per la ricostruzione di un periodo, quello medievale, che anche a Lucca conobbe episodi di grande vivacità e fulgore, come bene dimostrano le evidenze artistiche riferibili ai secoli XIII e XIV presenti sul territorio. L’opera, proveniente dal Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte a Firenze, fu danneggiata gravemente nell’attentato dei Georgofili, nella notte tra il 26 e il 27 maggio del 1993. Trafitta da una miriade di schegge di vetro, ha iniziato in quel momento un lunghissimo percorso di restauro, affidato alle abili mani di Paola Bracco dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, che oltre a neutralizzare buona parte dei danni provocati dall’esplosione, riuscì, con sapiente professionalità, a eliminare completamente tutti i deleteri interventi con cui lo strato pittorico originale era stato coperto nei secoli. L’urgenza del restauro è diventata, in corso d’opera, anche l’occasione per una riscoperta e un approfondimento degli studi intorno ad uno dei capisaldi della pittura giottesca: uno dei recuperi più affascinanti e insperati, quasi un restauro di rivelazione alla ”vecchia maniera”, comunque suffragato dal dispiego eccezionale di metodi di indagine modernissimi.

Dopo Lucca in mostra a Firenze
– A testimonianza dello scellerato atto mafioso, è stata mantenuta una sola piccola fenditura, nella spalla di un angelo ”reggicortina”. Anche il supporto ligneo fu recuperato e risanato, sempre nei laboratori dell’Opificio, da Ciro Castelli, autore di vari e autentici miracoli ascrivibili alla storia del restauro moderno. Da quel giorno del 1993, la tavola non è più stata visibile a Santo Stefano al Ponte ma, negli ultimi anni, è stata richiesta ed esposta da importanti musei nel mondo. Questa di Lucca è un’occasione unica per rivedere questo capolavoro, in tutto lo splendore dei colori ritrovati e in un luogo che ne esalterà totalmente la bellezza. Dopo l’esposizione in San Franceschetto, la tavola tornerà ad essere il fiore all’occhiello del Museo Diocesano di Firenze, che riaprirà presto le sue porte dopo anni di forzata chiusura.

L’opera – Nella Madonna di San Giorgio alla Costa, Giotto assimila la lezione spaziale di Cimabue e dà il via alla sua ”rivoluzione” pittorica, improntata alla ricerca di una rappresentazione più realistica ed all’umanizzazione dei personaggi. La Vergine è rappresentata su un trono marmoreo riccamente decorato, in parte perduto in seguito alla mutilazione che l’opera ha subito nel 1705. Due piccoli angeli alle spalle di Maria tengono un drappo di broccato che in parte nasconde la struttura e difatti limita l’effetto tridimensionale dell’insieme. Ma è nel volto di Maria che si legge tutta l’intenzione di liberarsi dalle rigidità della tradizione bizantina che nel Duecento ancora dominava la scena pittorica italiana. Se ancora Giotto non raffigura un volto ”caldo” e dalle gote rosee, come in seguito farà, per esempio, con la Madonna Ognissanti degli Uffizi, anche in questa Vergine propone una figura umana, una madre che in uno schema più libero inclina leggermente il collo e si rivolge a noi con uno sguardo più espressivo, quasi malinconico. Le due ciocche di capelli che ”sfuggono” alla cuffia rossa sono solo il dettaglio che conferma la precisa volontà del pittore di regalare a questo volto un elemento di dolcezza e umanità. La mostra è accompagnata da una pubblicazione, edita da PubliEd, Lucca, con un racconto inedito scritto per l’occasione da Marco Vichi, testi di Paola Bracco e Licia Bertani.