lavoro_4.jpgMi sfugge qualcosa. Chi è che sta pensando al lavoro a Siena? Inteso come il lavoro perso, che manca, che mancherà sempre di più. Negli ultimi cinque anni, secondo dati non aggiornati dell’Inail, in provincia di Siena sono stati persi 15.000 posti di lavoro. Ho l’impressione che l’aggiornamento ed un focus attento sulla città, diano risultati più pesanti. Il quadro senese si inserisce in un trend toscano: secondo i dati Excelsior di Unioncamere Toscana, la variazione occupazionale nella regione prevista per l’anno in corso, ovvero il saldo tra nuovi avviamenti e perdite di posti di lavoro, è negativo per oltre 11.500 unità, contro il -17.300 del 2013. Siena porta un “bel” contributo.

E la politica di Mps è destinata a incidere non certo positivamente anche sull’indotto: pensiamo solo alle tipografie senesi, che prima la banca faceva lavorare, e ora molto ma molto meno. Che prospettive di lavoro ci saranno soprattutto per i giovani? Quale è il nuovo modello economico dopo la crisi della banca? Quello senese è sempre stato un distretto basato sui servizi (bancario e pubblico impiego, sanità) e turistico-culturale. Non essendo di natura produttiva, non siamo neppure inseriti nell’elenco dei 200 distretti industriali riconosciuti dallo Stato. Con conseguente impossibilità di accedere agli ammortizzatori sociali come si fa, appunto, in quei distretti. Eppure è necessario ragionare come se quello senese fosse una sorta di “distretto evoluto”,  inserito in un sistema-Paese, dove il tema della de-industrializzazione è putroppo generalizzato.

Tornando al caso-Siena, il primo settore tradizionale, quello dei servizi, continuerà in maniera costante ad espellere occupati senza reintegrarli: dal Comune, dalla banca, dall’Università, dalla sanità. Il secondo, turistico-culturale, non  riuscirà a coprire le necessità, se non in parte. I progetti di Siena 2019 aiuteranno a individuare direttrici di marcia, ma bisogna anche smettere di attribuire qualità taumaturgiche a quei progetti, a cui peraltro non si potrà far carico di equilibrare l’emorragia occupazionale in atto. Parlando con Fabrizio Landi, presidente di Toscana Life Sciences, mi diceva che il modello possibile sarà quello di tante piccole unità produttive che, partendo da start up di innovazione, possano creare lavoro, a cominciare dalle scienze della vita. Ma che bisogna programmare i futuri livelli occupazionali, e governarla la crisi, determinando i nuovi flussi di lavoro. Cioè bisogna studiare e produrre ricette. Rispetto alla portata dell’emergenza, non mi pare invece che l’attenzione delle istituzioni senesi e delle forze politiche, sia all’altezza. Laddove un distretto perde la sua tipologia produttiva, come accade a Siena, per andare a mutazioni o integrazioni positive, c’è bisogno di analisi approfondite e di risposte efficaci e concrete. Soprattutto rapide. Ci vuole una task force territoriale, integrata magari da competenze esterne ma agganciate all’economia reale, non alla finanza, che determini il quadro della situazione e proponga soluzioni in termini di nuovi posti di lavoro in sostituzione di quelli perduti.

E’ stato fatto a Prato, quando l’aggresione della Cina ha messo in ginocchio il distretto tessile: un vero e proprio piano regolatore della occupazione sostitutiva, mettendo in fila le nuove attività con tanto di annesso numero di posti di lavoro previsti. A Siena di tutto questo non ragiona nessuno. Eppure non ci sarà più Babbo Monte a coprire le falle. E neppure i piani alti a suggerire le liste di assunzione a questa o quell’azienda amica. Soprattutto i giovani prendano coscienza che anche fare i servi al potente o i fedeli alla linea, a Siena non servirà più a nulla. Pretendano invece analisi e risposte per il lavoro, in base alle proprie competenze. Perchè prima o poi le risorse accantonate dalle famiglie, impiegate come “ammortizzatore sociale” per i figli disoccupati, finiranno anche a Siena. E allora non rimarrà che andarsene sbattendo la porta. Insomma, la classe non-dirigente senese, negli ultimi anni ha prodotto quantitativi ingenti di “economisti”, “banchieri”, “manager”, trasformati in un attimo in “esperti economici”, grazie alla bacchetta magica dell’asse banca-politica. Bene facciano qualcosa, se lo sanno fare, in termini di progettualità economica di territorio. Ma di concreto, non chiacchiere. Anzichè tornare a trastullarsi con le erogazioni della Fondazione Mps, fra l’altro tassativamente escluse dal Piano industriale 2014-17 della stessa Fondazione.