di Luigi Dallai*
Sul sito www.depositonazionale.it è stata pubblicata la Carta Nazionale delle Aree Potenzialmente Idonee (CNAPI) ad ospitare un sito di stoccaggio per rifiuti radioattivi di media e bassa attività. Alle valutazioni geologiche, basate essenzialmente su dati bibliografici, devono essere associate valutazioni socio-ambientali che tengano conto delle osservazioni prodotte dalle istituzioni locali nei due mesi successivi alla pubblicazione della CNAPI, cioè a partire da ora.
Questi parametri rischiano di essere vaghi, ed inevitabilmente soggetti alla discrezionalità delle amministrazioni di evitare (molte) o di ospitare (poche) il sito di stoccaggio.
Molte voci si sono levate per rimarcare l’importanza di tener conto della vocazione dei territori, di privilegiare la tutela del patrimonio storico e architettonico e la presenza di siti naturalistici patrimonio dell’umanità. Tutti aspetti che non possono che risultare ostativi ad ogni ulteriore valutazione relativa al posizionamento di un sito di stoccaggio di scorie nucleari in Val d’Orcia. Ed è probabile che tutti questi aspetti non siano stati valutati adeguatamente nell’attribuzione dell’idoneità geografica a sito di stoccaggio, e pertanto vadano riportati ai ministeri competenti al fine di correggere gli errori fatti.
Diversi luoghi elencati nel documento di Sogin presentano caratteristiche che li rendono definitivamente inadatti allo scopo. Questa cosa è addirittura ovvia per Trequanda e Pienza, ma paradossalmente non lo è stata nella valutazione preliminare. Si rimane stupefatti dalla presenza di territori famosi nel mondo all’interno della CNAPI, quasi che l’idea di paesaggio, come patrimonio condiviso e identitario, sia stata messa da parte. Non c’entra assolutamente nulla la questione del riflesso NIMBY, che pure va affrontata e disinnescata attraverso gli strumenti della politica e della concertazione. C’entra invece che il territorio come patrimonio condiviso e fattore di coesione sociale, concetto ormai acquisito dalla legislazione italiana (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio), sia stato completamente ignorato in virtù del ritardo accumulato dal nostro Paese nella corretta gestione dei rifiuti radioattivi. Il nostro territorio, che è la sintesi perfetta di tutto ciò che non solo idealmente, ma anche amministrativamente, è patrimonio universale, diventa l’esempio lampante di una incomprensibile inadeguatezza tecnica e decisionale, oltre che di sottovalutazione politica.
Adesso occorre che gli amministratori locali non siano lasciati soli, e anzi, siano supportati per rappresentare al meglio le osservazioni che arrivano dai cittadini e dalle istituzioni. Anche quei pochi amministratori favorevoli ad ospitare i siti dovranno essere adeguatamente supportati, affinchè prendano le decisioni più corrette in un percorso effettivamente partecipativo e accompagnato da garanzie e certezze per la salute pubblica. Come è chiaro a tutti, per le scorie un posto andrà trovato, ed è necessario che sia davvero il più adatto, a prescindere da veti o autocandidature, e che lo Stato ne garantisca effettivamente sorveglianza e tutela. Lo sfruttamento del territorio è infatti accettabile quando sostenibile, e solo in condizioni di piena sicurezza; quando al contrario situazioni di grave inquinamento si protraggono nel tempo in intere aree del Paese, senza che la politica inneschi processi virtuosi di recupero ambientale, non si può pretendere di risolvere il problema individuando nuove aree da sfruttare, e magari tra queste, paesaggi universalmente famosi per la loro bellezza.
*Professore di Geochimica Applicata e Ambientale, Università di Roma La Sapienza.