«Il giorno di San Matteo (il 21 settembre, ndr) non ha portato bene ai due “Matteo”». Una sintesi più che chiara per un commento sulle elezioni regionali da poco terminate. A farla ad agenziaimpress.it è Luca Verzichelli, docente di Sistema Politico Italiano all’Università di Siena secondo cui «gli sconfitti sono i due Matteo. Renzi non è decisivo in nessuna regione, non entra in molti dei consigli regionali, anche in Toscana non è andato benissimo e non sarà così decisivo nella formazione della Giunta anche se poi ovviamente Giani troverà il modo di trovare un equilibrio, quindi Renzi esce molto ridimensionato. Salvini esce ridimensionato rispetto ai suoi alleati. Trovo più efficace la posizione della Meloni che può dire che il suo partito cresce e cresce ovunque e che per la prima volta porta a casa un governatore (nelle Marche)».
Vincitori a metà «I vincitori sono tutti vincitori a metà come Di Maio sul referendum che è uno sconfitto più che a metà perché ha dimezzato i suoi voti – aggiunge Verzichelli -. Il Pd benché rafforzato dal punto di vista strategico in regioni come Puglia e Toscana per aver resistito all’attacco del centrodestra, è come una squadra molto forte che vince in casa di misura cal 90′. Non dovrebbe cantare vittoria. In queste elezioni non vedo partiti vittoriosi, ma leader vittoriosi. Di Maio nonostante la ‘tranvata’ è vittorioso perché può spendere qualcosa sul referendum, un po’ Zingaretti è vittorioso come leader del Pd rispetto al suo partito. I leader elettorali che vincono si chiamano Zaia, Toti, Emiliano, sono i veri fenomeni da osservare. Dopo il partito dei sindaci abbiamo quello dei governatori e un po’ mi preoccupa perché la personalizzazione politica non ci ha portato così bene però devo riconoscere che i governatori, anche grazie all’ effetto pandemico, sono più evidenti dei loro partiti e della loro stessa coalizione».
«Giani garantiva coesione» Uno sguardo anche ai risultati di casa nostra dove Eugenio Giani ha battuto Susanna Ceccardi: «Non credevo fossero così vicini ma non erano mai stati così vicini, quindi questo significa che la Toscana è contendibile – sottolinea Verzichelli -. E’ sciocco pensare che sia stata solo una montatura per mandare a votare gli elettori di centrosinistra». Come spiegare la sua vittoria? «Giani garantiva una coesione nel voto che va da una certa parte della sinistra radicale fino ai renziani. Puntando su un candidato nuovo si è comunque tenuto unito il campo, e poi forse è tramontata l’idea che chiunque possa venire a sfidare senza avere particolari idee innovative».
Referendum, la vittoria del “Sì” «non risolve i problemi» Dalle elezioni regionali al referendum dove i “Sì” al taglio ai parlamentari sono stati il 69,64% contro il 30,36% dei “No” ( in Toscana 65,96% “Sì” e 34,04 “No”). «Gli italiani hanno democraticamente deciso di accettare una riforma – spiega Verzichelli – hanno detto “Sì” ed è giusto perché così si sono allineati a quello che aveva già detto il Parlamento quando aveva votato la legge. Non so quanto gli italiani si intendano della materia che ora resta da verificare, cioè la legge elettorale e l’eventuale ritocco della Costituzione, se si volesse superare il bicameralismo paritetico, anche se quattro anni fa gli stessi italiani avevano deciso di non essere così simpatetici. Quindi direi che gli italiani si sono da un lato tolti un sassolino dalla scarpa e dall’altro si sono creati un problema in più. Resta da vedere se adesso è più piacevole camminare senza il sassolino o incontrare ulteriori problemi perché sicuramente questa soluzione non risolve i problemi dell’Italia».
Ora ripensare legge elettorale Ma ora esattamente cosa cambia? «Cambia una cosa molto semplice, la riforma taglia un 35% di rappresentanti eletti portando il Senato da 315 a 200 senatori e la Camera da 630 a 400 deputati quindi taglia linearmente il numero di seggi elettivi e le spese da sostenere per le indennità di 345 parlamentari. Quello che non cambia ad oggi è la legge elettorale che può comunque essere anche adattata cambiando i Collegi ma questo, secondo me, sarebbe un grosso pericolo. Perché adattando la legge elettorale che c’è adesso difficilmente si potrebbe avere una situazione in cui un elettorato diviso e frammentato come è oggi quello italiano, determinerebbe due maggioranze ibride e si potrebbe avere una situazione di stallo come quelle che abbiamo visto con il Nazareno e la grande coalizione fino al governo Pd-5S. La cosa auspicabile sarebbe ripensare integralmente il sistema elettorale e penso che ci stiano pensando, in pole position penso ci sia una forma ponderata e razionalizzata di sistema proporzionale con una soglia di sbarramento capace di rendere meno frammentato il Parlamento ma pur sempre proporzionale. Ma solo la riforma elettorale non basta per far ripartire il sistema politico».
Tempo fino al 2023 per i cambiamenti Quali sono i tempi per fare questi significativi cambiamenti? «Non possiamo darci una situazione di ‘vacatio’ del sistema elettorale, va adattato perché se succede lo scioglimento delle Camere per qualsiasi motivo politico, dobbiamo avere una legge elettorale per far tornare l’Italia alle urne – sottolinea il docente dell’Università di Siena -. Limitarsi a questo però sarebbe sbagliato, ricreerebbe la situazione in cui gli italiani votano e poi i governi non stanno in piedi. Il tempo c’è, la durata della legislatura è fino al 2023, possono metterci meno. Ora abbiamo cambiato solo il numero nelle Camere ma mi pare che Italia avesse un altro problema, Parlamento e parlamentarismo non funzionavano. E’ come se un malato avesse un’ulcera e da 25 anni lo dice e io gli faccio una liposuzione; magari cammina meglio ma rimane l’ulcera. Abbiamo risolto una questione che era annosa, ma gli italiani hanno detto “Sì” a una riforma a cui avevano detto “No” 4 anni fa perché non avevano più simpatia per l’allora Presidente del Consiglio».