Ogni anno, in Toscana, si stimano circa 3.500 nuovi casi di tumore della mammella. Oltre il 70% presenta una malattia in stadio iniziale, positiva ai recettori ormonali e negativa alla proteina HER2. Per la prevenzione delle recidive, almeno il 50% di queste pazienti viene trattato con la chemioterapia associata all’ormonoterapia, dopo l’intervento chirurgico. Ma solo una percentuale decisamente inferiore ne trae benefici reali. Oggi è disponibile un test genomico con valore predittivo, cioè in grado di indicare se la chemioterapia è necessaria o bastano le cure endocrine. Un grande vantaggio per le pazienti, perché la chemioterapia può ancora causare pesanti effetti collaterali, con conseguenze sulla vita familiare e professionale. In Toscana, alle donne colpite da neoplasia della mammella sarà presto garantito il diritto di accedere gratuitamente al test, seconda Regione in Italia ad assumere questa decisione dopo la Lombardia (e la Provincia Autonoma di Bolzano).

Musumeci (Toscana Donna): «Situazione a macchia di leopardo, test solo in alcuni ospedali»  L’iniziativa è partita dal basso, dalle associazioni di pazienti. «Lo scorso febbraio abbiamo presentato, in un’audizione, la richiesta di rimborsabilità del test alla Commissione sanità e politiche sociali del Consiglio regionale della Toscana, che l’ha subito approvata –– afferma Pinuccia Musumeci, presidente di Toscana Donna e portavoce di tutte le associazioni regionali che si occupano di tumore al seno -. Siamo in attesa della delibera da parte della Giunta regionale, entro poche settimane. Si tratta di un risultato importantissimo, ottenuto grazie all’impegno delle associazioni. La chemioterapia può avere un impatto rilevante sul benessere della paziente e risvolti indiretti sulla società, soprattutto quando costringe a sospendere per lunghi periodi l’attività lavorativa. Un altro problema, sentito dalle giovani donne, è la possibile comparsa di infertilità. Inoltre, le pazienti sottoposte a cicli di chemioterapia manifestano spesso sintomi di ansia e depressione, che hanno un impatto sulla vita personale e professionale e, di conseguenza, sulla produttività. Non vanno trascurati anche i vantaggi per il sistema –– continua Musumeci -. In questo senso, abbiamo proposto una soluzione efficace per la sanità toscana, perché il test costa molto meno di un ciclo di chemioterapia. Oggi, nella Regione, assistiamo a una situazione a macchia di leopardo con disparità di trattamento, perché il test è disponibile solo in alcuni ospedali. La delibera della Giunta permetterà una vera uniformità di cure in tutto il territorio. Inoltre, la Lombardia ha deciso di fornire l’esame da luglio 2019 gratuitamente anche a chi viene da altre Regioni. In quest’ultimo caso, la Lombardia chiede il rimborso alla Asl di provenienza. Vogliamo evitare fenomeni di migrazione sanitaria verso il Nord».

Amunni (Ispro): «Corretta identificazione pert evitare sovratrattamento» La Regione ha affidato all’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica (ISPRO) della Toscana il compito di verificare gli aspetti tecnici dell’estensione del test a tutto il territorio. «La diffusione della mammografia ha migliorato in maniera significativa la prognosi del tumore della mammella – spiega Gianni Amunni, direttore generale Ispro -. In Italia, la sopravvivenza a 5 anni è pari all’87% e all’80% a un decennio. Va però considerato che la recidiva del tumore al seno può verificarsi fino ad oltre 20 anni dalla diagnosi iniziale, soprattutto nelle pazienti con carcinoma positivo ai recettori ormonali. Il trattamento adiuvante, eseguito cioè dopo la chirurgia, riduce il rischio di recidiva, ed è tradizionalmente basato sulle caratteristiche della paziente e del tumore. La maggior parte delle donne con carcinoma della mammella presenta una malattia locale o localmente avanzata che esprime i recettori estrogenici (ER) ma non la proteina HER2 (ER+/HER2-). Queste pazienti, dopo la chirurgia, ricevono un trattamento endocrino, che può essere associato a chemioterapia nei casi ritenuti a maggior rischio di recidiva. La corretta identificazione delle pazienti da sottoporre a chemioterapia adiuvante riveste un’importanza fondamentale, allo scopo di evitare un sovratrattamento, con incremento della tossicità in assenza di reali vantaggi terapeutici e aumento di costi per il sistema sanitario, o un sottotrattamento che aumenta il rischio di recidiva. L’adozione dei test genomici permette di identificare i casi in cui la chemioterapia è realmente utile. Comporta quindi evidenti benefici clinici, migliora la qualità di vita delle pazienti e permette risparmi consistenti per il sistema. I test disponibili possono essere distinti in funzione della loro capacità di fornire una stima del rischio di recidiva (valore prognostico) rispetto a una stima del beneficio derivato dalla chemioterapia (valore predittivo). Quest’ultimo aspetto si traduce in una differenza importante, di cui il clinico deve essere pienamente consapevole».

Il test In particolare, il test multigenico Oncotype DX® è l’unico ad avere un livello di evidenza scientifica 1A, dimostrando di essere il solo predittivo del beneficio potenziale della chemioterapia per le pazienti con carcinoma invasivo della mammella ER+/HER2-. Il test Oncotype DX è incluso nelle principali linee guida internazionali per il tumore mammario, comprese le Linee Guida dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), e ha dimostrato ottimi risultati in tutte le analisi di costo-efficacia pubblicate. «Possiamo stimare circa quattro trattamenti chemioterapici evitati ogni cinque test genomici eseguiti – conclude il prof. Amunni -. Come evidenziato nello studio TAILORx, che ha coinvolto più di 10.200 donne, il test Oncotype DX è in grado di ridurre l’impiego della chemioterapia nelle pazienti ad alto rischio clinico che, altrimenti, con il solo utilizzo dei sistemi tradizionali di diagnosi, sarebbero state sovratrattate con la chemioterapia adiuvante, senza trarne reali benefici. Contestualmente, il test permette di non sottostimare il rischio di recidiva, consigliando la chemioterapia a pazienti altrimenti valutate a basso rischio clinico e che, senza l’impiego del test, avrebbero ricevuto la sola ormonoterapia, restando ad alto rischio di recidiva».