«Il settore delle costruzioni nel suo insieme ha vissuto dal 2008 un periodo di crisi pesantissima con il crollo del numero degli occupati, degli investimenti pubblici e privati e con la riduzione consistente della media addetti per impresa, aumentando quella frammentazione già caratteristica del settore edile. Nei numeri in Toscana: da circa 65mila addetti edili iscritti in Cassa edile nel 2008 si passa a poco meno di 39mila addetti nel 2019 con una perdita di quasi 28mila lavoratori, da 12.500 imprese a circa 8.500». A dirlo in una nota Fillea Cgil Toscana spiegando che «nel 2019 e fino al lockdown da Covid si era registrata finalmente un’inversione di tendenza – spiega la nota – un trend che vedeva aumentare gli addetti e le imprese ma risultavano positivi anche altri valori di mercato come i bandi di gara (in euro) e le compravendite, seppur in misura minore». Poi da marzo 2020 si è fermato quasi l’intero settore delle costruzioni. «Nel mese di aprile la situazione peggiore: 85% in meno delle ore lavorate rispetto a gennaio, 80% in meno della massa salari e più di 6 milioni di ore di cassa integrazione ordinaria richieste, il dato peggiore a Firenze con 1,7 milioni di ore e Pisa con quasi 745 mila (mentre in tutto il 2013, anno peggiore per l’edilizia, in Toscana, per tutte le tipologie di ammortizzatori sociali sono state richieste meno di 8 milioni di ore)».

I numeri Il dato è confermato dalle notifiche preliminari per apertura di nuovi cantieri: nell’aprile 2019 sono state 1433 per 235 milioni di euro di valore, nell’aprile 2020 solo 489. Se si confrontano i valori in euro dei nuovi lavori di marzo ed aprile 2020 con lo stesso periodo 2019 c’è un calo del 47%. E, dai dati di Banca d’Italia, gli impieghi risultano calati di più di 500 milioni (aprile 2019 su aprile 2020), stesso valore in riduzione registrato da tutta l’industria nel suo complesso. Nel settore del legno, altro pesantemente colpito dalla crisi nel pre Covid, sempre ad aprile sono state registrate dall’Inps più di 1,7 milioni di ore di ammortizzatori sociali richieste, con il dato peggiore a Pisa con più di 350mila ore e ancora Firenze con poco più di 300 mila.

«Occorre adattarsi al mercato» «Oggi possiamo dire che siamo usciti dall’emergenza? – si chiede il sindacato – In parte sì, anche non siamo ritornati ancora ai numeri pre Covid dei lavoratori in attività, aumentano gli appalti pubblici e i lavori sia nel numero assoluto che nell’importo complessivo (con circa 150 milioni di euro in più dello stesso mese di maggio dell’anno precedente). Nel manifatturiero invece ci sono molti ordini precedenti al fermo Covid che le imprese cercano di evadere, ma se non arrivano nuovi ordini sarà dura, soprattutto per i settori non edili e che si rivolgono molto all’export ad oggi quasi fermo. Occorre cambiare paradigma e ciò vuol dire anche cambiare la capacità per le imprese di adattarsi al mercato: l’assioma che un mercato flessibile deve avere un lavoro flessibile (precario) è totalmente sbagliato anzi, alla flessibilità del mercato va risposto con la capacità produttiva di adattarsi, innovazione nei macchinari e nei processi, formazione. Se servono 1,5 milioni di banchi per riaprire le scuole e in pochi li producono, le aziende devono essere in grado di rispondere adattando la produzione. Molte aziende in Toscana sarebbero in grado di farlo, come ad esempio chi produce arredamenti per ufficio o per negozi. L’auspicio è che provino a partecipare al bando previsto.

Le proposte del sindacato Intervenire per bloccare i licenziamenti e stanziare cifre considerevoli per gli ammortizzatori sociali è stato decisivo per evitare una ricaduta sociale devastante. Ovvio che questi interventi hanno permesso di affrontare l’emergenza, ma adesso occorre affiancare una prospettiva per contrastare possibili tracolli nei posti di lavoro, ripensare il modello di sviluppo che ha mostrato tutte le sue contraddizioni e creare lavoro, che è l’unico modo per guardare al futuro. Che non torneremo alle condizioni pre Covid è certo, non è però indifferente quale strada decidiamo di prendere e dove indirizziamo il cambiamento. Che l’edilizia sia un motore per la ripresa del paese non c’è dubbio, non è legata all’export e produce velocemente un effetto moltiplicatore su tutti gli altri settori. La Toscana può essere da esempio e apripista per un nuovo modello di sviluppo, e quelli che la Fillea Cgil pone sono alcuni temi che possono dare questa sterzata: chiediamo a chi si appresta a governare questa regione di farsene carico. Cambiare modello di sviluppo per noi significa passare da quello basato su ulteriore consumo di suolo, e cementificazione selvaggia, ad una visione diversa che trova i suoi fondamenti nella rigenerazione urbana (la legge regionale Marson sul governo del territorio 65/14 va in questa direzione e va salvaguardata), una scelta ambientale e ambientalmente sostenibile che riqualifichi il patrimonio esistente, che punti sull’efficientamento energetico sia degli immobili pubblici che privati, a cui fra l’altro è legato il 35% degli obiettivi di riduzione delle emissioni. Attendiamo di leggere i decreti attuativi per il superbonus al 110%, due già varati dal Mise, dopodiché un ruolo importante per il funzionamento delle nuove misure sarà giocato dalle banche, cioè dagli enti che dovranno ‘acquistare’ il credito d’imposta. E qui bisognerà capire come si comporteranno e quali strumenti adotteranno. Rigenerazione significa anche riqualificare le periferie e/o le aree delle nostre città, recuperare aree dismesse, i piccoli centri storici, le aree interne e le isole per ridare dignità a quelle collettività che ancora le abitano, e che spesso vivono in condizioni di disagio abitativo o di lontananza da servizi anche essenziali. Cambiare modello di sviluppo significa anche abbandonare l’idea che la ripresa passi dalla deregolamentazione, e che non è accettabile che le regole siano viste come un freno allo sviluppo. Procedure più semplici e soprattutto tempi certi possono invece essere d’aiuto. Partendo dalla riduzione dei tempi di progettazione e autorizzazione. Il nodo fondamentale, non affrontato dal Dl semplificazione, è la qualificazione e la riduzione delle stazioni appaltanti. La perdita di molte figure tecniche anche a causa del blocco del turnover dei dipendenti pubblici ha aggravato la situazione. Adottare il Durc di congruità per appalti pubblici e privati al fine di garantire la corretta applicazione dei contratti e delle norme, e un sistema telematico di rilevazione delle ore lavorate diffuso, sarebbero invece un modo per combattere le irregolarità nei rapporti di lavoro e una garanzia per le committenze.