fotoQualcuno diceva che «è l’amore, e non la ragione, che è più forte della morte». Antonella Leardi mamma di Ciro Esposito, il tifoso napoletano ferito a morte poche ore prima della finale di coppa Italia all’olimpico tra Napoli e fiorentina lo scorso 3 maggio, è un esempio dell’amore che sopravvive alla morte. Quel sabato pomeriggio di ordinaria follia è documentato da decine di video amatoriali. L’ultimo, che è stato reso pubblico ieri, documenta quei drammatici momenti. Prima e dopo. Ciro sta andando verso l’olimpico insieme ad altri tifosi azzurri quando incrocia un gruppo di ultras giallorossi. Scoppia l’inferno. Si sentono due forti colpi. Il primo, più sordo, sembra un colpo di pistola, il secondo un petardo. Ciro cade a terra, viene sollevato dagli amici, trascinato per alcuni metri e disteso al centro della strada. È ancora vivo, cosciente, si porta le mani al volto. Prova, inutilmente, a rialzarsi. Il proiettile si è conficcato nella colonna vertebrale. Per 54 giorni lotterà tra la vita e la morte in un letto dell’ospedale Gemelli di Roma. Ore e giorni di attesa, bollettini medici, angoscia, speranza, dolore. Accanto a lui, giorno e notte, i suoi familiari, involontari protagonisti della banalità del male, la cui vita è stata passata sotto la lente di ingrandimento. Subito dopo i fatti sembrava che il delinquente fosse Ciro, un tifoso facinoroso che era andato a Roma in cerca di guai. Perché? Solo perché viveva a Scampia? Per molti Scampia è solo sinonimo di delinquenza. Non è così. E’ un quartiere napoletano popolato da persone perbene, che si guadagnano da vivere onestamente. Ciro era un ragazzo di 29 anni che lavorava nell’autolavaggio di famiglia, aveva una fidanzata e un gruppo di amici con cui condivideva la passione per la sua squadra del cuore. La morte di Ciro Esposito può essere raccontata in mille modi ma non si possono negare la compostezza, l’orgoglio e la dignità della sua famiglia. Quanti hanno pensato che in fondo se l’era cercata? La famiglia di Ciro ha dato a tutti una grande lezione di vita: il papà Giovanni, il fratello Pasquale e la mamma Antonella sono la parte sana e robusta del nostro paese. Dalla loro bocca non sono mai uscite parole di odio e vendetta. Antonella è una signora bionda, garbata, minuta che ha dimostrato di essere un gigante in quanto a coraggio e dignità. Quando ti parla ti guarda diritto negli occhi trasmettendo così tanta forza ed energia che ogni parola di conforto ti sembra banale. Di fronte a lei noi tutti dovremmo sentirci piccoli, piccoli. In primis gli assassini di Ciro. Chi esce di casa armato di pistola, bombe carta e petardi non ha buone intenzioni. Vuole fare del male a qualcuno. Se un ragazzo viene ferito a morte davanti allo stadio prima di una partita di calcio vuol dire che qualcosa nel servizio d’ordine non ha funzionato. Antonella non chiede vendetta ma solo giustizia. Chi ha avuto la fortuna di conoscerla non può non ammirare la sua forza. Quando ci troviamo di fronte a qualcuno che ha perso una persona cara ci facciamo mille domande come se volessimo misurare il dolore per capire quanto era grande l’amore per la persona scomparsa. Siamo così presuntuosi da pensare di avere il diritto di giudicare il dolore degli altri. Ognuno di noi affronta la morte e il dolore in maniera imprevedibile ed individuale ma mamma Antonella con i suoi appelli alla non violenza ha fermato coloro che invocavano un’insensata vendetta. Pensate cosa sarebbe accaduto se invece di invocare giustizia e pace avesse gridato al mondo rabbia, dolore, odio? Avrebbe armato la mano di quanti non cercavano altro che farsi giustizia da soli. Ma questo avrebbe ucciso Ciro una seconda volta. Quando questa mattina siamo tornati a Scampia per incontrarla ci ha accolti con la sua solita e disarmante umanità. Ci ha aperto le porte di casa, mostrandoci la stanza di Ciro dove è rimasto tutto uguale solo che oggi il suo letto è pieno di sciarpe e bandiere spedite dai tifosi di tutta Italia. Nel frattempo è arrivato Pasquale, il fratello di Ciro, era appena rientrato dal turno di notte, nonostante la stanchezza ci ha invitati a sedere in cucina ed ha preparato un caffè. Questa è la famiglia di Ciro Esposito. La loro non è voglia di apparire ma solo di vivere nel nome di Ciro. Grazie a loro è come se fosse rinato una seconda volta.