calcio-scommesse.jpgIl Napoli avrebbe perso in ogni caso. E quella difesa, buona per un campionato di seconda-terza categoria, è giusto un alibi. 
Bilbao o non Bilbao. San Mames o non San Mames. Avrebbe beccato anche se di fronte avesse avuto il Copenaghen, nell’algido stadio Fredriksen, o il Galatasaray, nel ribollente Turk Arena.
Semplicemente: il calcio italiano non ha più il fisico per giocare quelle partite lì.



Bastava guardare i primi dieci minuti di gara: la differenza era abissale. La differenza nella corsa, nello stare in campo, nel coprire gli spazi. La gestione dei contrasti, la qualità del giro palla, delle ripartenze eccetera… E occhio che non stiamo parlando del magno Barcellona o dei nababbi del Bayern Monaco, bensì dell’Atletico Bilbao. Un club (visto che stiamo sempre a parlare di quattrini) che come monte ingaggi vale la metà del Napoli, e forse qualcosa meno.

Certo, quando ha marcato Hamsik un po’ di illusione c’è stata. Ma solo per gli allocchi. Avrebbero perso comunque. Se non ci fosse stata la catastrofe della difesa, ci sarebbe stata un’altra cosa… Magari una svista arbitrale, e oggi saremmo qui a gridare allo scandalo. O una casualità, e allora giu a dire “Napoli, grazie lo stesso”, ma il risultato non sarebbe cambiato.

Giochiamo un calcio povero e triste, ecco il punto. Senza nerbo e senza personalità. Scontato e spompato. Un calcio altamente democratico. Nel senso che, ormai, andiamo in barca con tutti: con il Real Madrid, con il Bilbao e con lo Slovan Bratislava. Con la Germania, l’Argentina ma anche con il Costa Rica. L’allenatore dell’RKC Spalato ha dichiarato: «Con il Toro, stasera, ce la giochiamo alla grande». Qualche anno fa avrebbe detto: «Che onore giocare con il Toro. La consideriamo una gita premio».

Ora, io non riesco proprio a capire questa involuzione così repentina e così evidente. Da padroni delle ferriere a servi della gleba, deve pur esserci uno spazio in mezzo. 
Ed è questo spazio che non riesco più a riempire. 
Ieri sulla Gazzetta ho letto un pezzo magistrale di Franco Arturi, uno dei giornalisti più equilibrati e meno caciaroni in circolazione. Ed anche lui si domandava più o meno le stesse cose. Senza trovare una risposta decente. Alla fine ha persino avanzato il dubbio che, da avanguardia della farmacia (o comunque dell’aiuto chimico) il calcio italiano possa essere addirittura diventato un modello di virtù. E così facendo, si è fatto surclassare da tutti. Soprattutto da quei paesi che considerano l’antidoping un optional, se non una perdita di tempo.
E’ una vecchia teoria, più volte sussurrata anche nel nostro venerdi televisivo. Ma abituato a basarmi su ciò che vedo, non ci ho mai dato troppo peso.
Adesso, lo scoraggiamento è sopra il livello di guardia. E sono arrivato a pensare anche questo.
Più o meno, a credere alla befana. 
Pensa come siamo messi.