Parliamo di cibo quasi come di calcio. Essere chef stellati è ormai essere star, diventarlo il sogno di milioni di giovani. Mai, come adesso, forse, il cibo ha rivestito un ruolo di tale importanza come quello che sta rivestendo nella nostra società. Il cibo non è più soltanto nutrimento, elemento essenziale nella vita dei popoli lungo i secoli; il cibo, ormai, è cultura, costume, sperimentazione, contraddistingue e definisce le persone ed il loro modo di vivere e di approcciarsi alla società.

Vi è una ricerca spasmodica, senza sosta della perfezione, della qualità, della genuinità e tradizionalità delle materie prime ed in seguito dei trasformati.

Vi è una continua esaltazione di prodotti d’eccellenza, di presidi slow food, di frutti, ortaggi, ricette che sentiamo la necessità di rispolverare dalla tradizione e di tutelare, di valorizzare.

Continuamente negli innumerevoli programmi televisivi dedicati al cibo sentiamo parlare di materie prime straordinarie, di luoghi meravigliosi, di pratiche e tecniche ereditate dai nostri avi, di ricette passate di mano per generazioni.

Nelle campagne pubblicitarie delle grandi aziende agroalimentari assistiamo ad una costante e studiata comunicazione che richiama alla qualità dei prodotti, ad un marketing che si propone di influenzare e di dirigere il consumo verso la genuinità, verso il rispetto delle stagioni e dell’ambiente, delle materie prime e dei produttori, coloro dai quali tutto questo ha origine.

Ma la spinta comunicativa della grande distribuzione è seguita parallelamente da un modus operandi che veramente rispetti i produttori, i prodotti ed i loro luoghi di origine; o per dirla in altri termini sono veramente i produttori primari, i custodi di queste eccellenze i soggetti privilegiati, i motori di questa catena.

Pare di no se analizziamo il tutto più da vicino. E mentre la grande distribuzione sperimenta tecniche sempre più aggressive per acquistare prodotti agricoli a costi sempre minori, non ultima la pratica del doppio rilancio rispetto ai prezzi a base d’asta nei confronti dei produttori, l’agricoltura, soprattutto nelle aree collinari e montane sta scomparendo, ritirandosi ad attività perlopiù di nicchia o, peggio ancora, a mezzo di mera sussistenza attraverso la PAC.

Uscirne sembrerebbe impossibile dinanzi all’abbondanza di offerta ed all’aggressività del grano canadese o dell’olio tunisino.

Pertanto o ci si arrende all’evidenza continuando a sbandierare un made in Italy che sempre in più settori, a causa del mercato globale e della nostra scarsa propensione all’evoluzione, viene messo sotto assedio, oppure si esplorano strade alternative che facciano dell’innovazione e dell’alternatività le proprie parole d’ordine.

Vi è un caso assolutamente interessante che merita di essere raccontato  e che si è posto l’obiettivo di frenare l’abbandono dell’agricoltura e di conseguenza del territorio in alcune realtà marginali della nostra Regione.

Sto parlando del nord delle Colline Metallifere; zone dove l’agricoltura e l’allevamento per secoli hanno rappresentato un fattore imprescindibile nella vita e nell’economia di quelle popolazioni e che, negli ultimi decenni, sono praticamente scomparse lasciando spazio all’incedere dei rovi e della boscaglia.

Seminare il grano non conviene è il mantra che ci ripetono in questi luoghi. Da fame sono i prezzi di vendita al quintale, buoni neppure per coprire i costi vivi della produzione. Allora meglio arrendersi, meglio seminare qualcosa che cresca più facilmente e più alla svelta, che costi meno e che comunque sia buono per la PAC.

Non è possibile in luoghi dove i boschi e le montagne si sono presi i campi coltivabili competere con le sterminate pianure dove si coltiva in maniera intensiva, dove si può lavorare con macchinari industriali. Il mercato fa paura e non è per tutti. Ed allora la soluzione è crearsi un mercato interno, chiudere in casa la filiera.

E ‘questa la scommessa del progetto DRAGO, acronimo di Distretto Rurale Agricolo Gastronomico Organizzato.

Impedire l’abbandono sempre più marcato del territorio attraverso il ritorno ad un’agricoltura di qualità sostenendo il reddito degli agricoltori mediante, appunto, la costruzione di un mercato interno.

Produzione primaria, prima e seconda trasformazione ed una buona fetta dei consumatori tutti all’interno del medesimo territorio. Si produce nel territorio per la gente di quel territorio. Autosostenibilità per riassumere il concetto in una parola.

La straordinarietà del progetto risiede nelle sue premesse: si parla di filiera etica e democratica nella quale i rischi ed i costi di produzione sono ripartiti tra tutti gli attori della filiera, nella quale si opera per tutelare la parte più fragile e più esposta della catena, ossia gli agricoltori.

Grani antichi toscani selezionati e seminati nel rispetto di un disciplinare di produzione al quale tutti gli aderenti si sono vincolati, che impone rigide regole di coltivazione, il divieto di utilizzare concimi chimici e pesticidi, il rispetto della rotazione dei terreni e soprattutto prezzi e quantità del grano stabiliti a monte ed in modo equo, all’inizio dell’annata agraria e non sottoposti alle quotidiane e sostanziali oscillazioni del mercato.

Una produzione di qualità che si origina e si sviluppa nel territorio e che grazie alla territorialità riesce a mantenere prezzi al consumo idonei per la stragrande maggioranza della popolazione e non per una piccolissima fetta, vero e grande neo, spesso, dei prodotti d’eccellenza nel nostro paese.

L’idea si è tramutata in un progetto integrato di filiera che ha visto la partecipazione dei comuni dell’area e del parco nazionale delle Colline Metallifere e che ha conquistato la Regione ottenendo un finanziamento di quasi un milione e mezzo di euro a fondo perduto che andrà a vantaggio delle realtà imprenditoriali che hanno partecipato ma anche dell’istituto enogastronomico di Massa Marittima o del CNR di Follonica, per esempio.

Il pane del sole rappresenta l’emblema di questo piccolo grande sogno, di una risposta dal basso che naviga controcorrente per cercare di riconquistare il proprio territorio e le attività che lo resero grande e che guarda con entusiasmo al futuro e soprattutto al rispetto dei produttori e degli ambienti nei quali operano, alla qualità dei prodotti ed all’attenzione ed alla salute dei consumatori.