“Il Gioiellino”, “Il Divo”, “La Ragazza del lago”, “Una vita tranquilla”, “Gorbaciof”, “L’amico di famiglia”, “Lavorare con lentezza”… Sono solo alcune delle pellicole a cui Teho Teardo ha prestato le proprie musiche, imponendosi tra i nuovi fuoriclasse delle colonne sonore. Il compositore si accosta ora ad un altro tipo di immagini, le fotografie di Charles Fréger. Il progetto “Music for Wilder Mann” che porta in scena mercoledì 23 gennaio allo Spazio Alfieri di Firenze trae ispirazione dalle immagini contenute nel libro “Wilder Mann, la figura dellʼUomo Selvaggio”.
“Music for Wilder Mann” è un evento speciale presentato per la prima volta nella forma in cui venne originalmente concepito lʼintero album, nel 2013: agli strumenti elettronici di Teho Teardo si affiancano due violoncelli (Laura Bisceglia e Giovanna Famulari), una viola (Ambra Chiara Michelangeli). Ad ogni brano corrisponde una immagine, altissima, verticale e minacciosa. Le fotografie di Fréger proiettate alle spalle dei musicisti, come enormi pale d’altare, iconiche e pagane, ci osservano durante tutto il concerto. La collaborazione tra il compositore e il fotografo francese è incentrata sulla ricerca musicale e fotografica della figura dellʼuomo selvaggio, angelo o demone, personificazione dei nostri desideri o difetti. Una necessità che scava nelle nostre più profonde aspirazioni e palpitazioni, uomini che anelano al primitivo, ad istinti arcaici forse mai del tutto assopiti, nonostante l’era moderna della tecnologia, delle troppe parole da leggere e troppe immagini da guardare, nellʼassedio dei dati a cui siamo sottoposti. Sprofondare nella commozione e misurarne con il suono i riflessi che lascia in noi, questo è “Music For Wilder Mann”. Le apparizioni dei Wilder Mann, i mostri fotografati da Charles Fréger nel libro omonimo che è già divenuto un classico, generano un turbamento che la musica di Teho Teardo ci restituisce in termini sonori. Paura e spavento inducono ad una strana forma di attrazione per questi esseri futuribili ma provenienti dalla notte dei tempi, vestiti di pellicce e con denti d’animale, sormontati da corna o palchi di cervo per trasformarsi in orsi, cinghiali, mostri e diavoli con lo scopo di terrorizzarci. Una perlustrazione antropologica che documenta il bisogno di selvaticità che è in noi. Fotografie che turbano e che rappresentano qualcosa di remoto, di ancestrale, lontano dal nostro tempo ma pur sempre riconoscibile.