Una rottura sismica determina profonde trasformazioni nelle rocce in cui si propaga,  lasciando una “cicatrice”. Sono le conclusioni a cui giunge il lavoro di ricerca recentemente pubblicato su Nature Communication da Cecilia Viti del dipartimento di Scienze Fisiche, della Terra e dell’Ambiente dell’Università di Siena, in collaborazione con ricercatori dell’Università di Otago, in Nuova Zelanda.

Lo studio Nello studio dall’approccio fortemente interdisciplinare, che ha coinvolto vari settori della Geologia, dalla tettonica alla sismologia e la mineralogia, i ricercatori hanno osservato che una rottura sismica provoca profonde trasformazioni nelle rocce in cui si propaga. «La faglia Livingstone in Nuova Zelanda – spiega Viti – è stata analizzata dalla scala kilometrica dell’affioramento, fino alla scala nanometrica (10-6 mm) presso il laboratorio di microscopia elettronica a trasmissione del nostro dipartimento. Lo studio ha rivelato chiare evidenze di decomposizione dei minerali originariamente presenti e di cristallizzazione di nuovi minerali stabili solamente ad alte temperature. Tali trasformazioni rappresentano la testimonianza di un terremoto di media magnitudo (3-4), in grado di innescare un forte riscaldamento per attrito con temperature fino a circa 900°C».

Come si formano le cicatrici sismiche «Questa scoperta – prosegue –  dimostra come il forte attrito durante lo scivolamento possa determinare un localizzato aumento della temperatura, determinando profonde trasformazioni nella roccia che possono essere considerate come delle ‘cicatrici sismiche’: queste rappresentano le uniche chiavi dirette e tangibili a nostra disposizione per comprendere cosa accade alla roccia nel momento in cui avviene un terremoto». La ricerca rappresenta un importante contributo nella comprensione delle deformazioni sismiche, ed al tempo stesso getta le basi per studi futuri che esplorino le tante variabili in gioco, tra cui la magnitudo, il contesto tettonico e il tipo di roccia.