Un giro d’affari da 15 miliardi di euro con interessi nello smaltimento dei rifiuti, condizionamento della gestione pubblica finalizzato all’ingerenza negli appalti ed alla infiltrazione dell’economia, oltre al reimpiego di denaro proveniente da attività illecite. E ancora, beni confiscati, arresti e latitanze. «La Toscana è terra di criminalità organizzata. La Toscana è in parte colonizzata dalla mafia». La Fondazione Antonino Caponnetto ha presentato questa mattina nella sede dell’Ordine dei giornalisti, il focus Mafia in Toscana 2018 e il quadro che ne emerge è che se il Granducato fino a dieci anni non era una terra di mafia anche se la mafia c’era, oggi lo scenario è decisamente cambiato. E Cosa nostra, ‘ndrangheta e camorra sono presenti sotto forme diverse e con modalità di intervento differenti.

«Non siamo a livello di Campania, Sicilia e Calabria – ha detto il consigliere della Fondazione Renato Scalia – siamo peggio. In Toscana ci sono tutte le mafie ed investono in tutti i settori: dai rifiuti al riciclaggio, dalla droga al traffico di armi con il porto di Livorno identificato quale hub per i loro traffici. Purtroppo le indagini di mafia sono lunghe e complesse e spesso vengono fatte mal volentieri».

Una decina di anni fa appunto. In quel periodo era quasi rivoluzionario parlare di Toscana terra non di mafia in cui la mafia c’è. Oggi invece quando lo rilanciano altre organizzazioni in altre situazioni è diventato quasi uno slogan soporifero e tranquillizzante. Cambia il quadro sociale di riferimento La Toscana oggi è una terra con alcuni punti deboli in un momento tra l’altro il cui quadro sociale è cambiato. Il principale punto debole è quello che in Toscana esiste la automertà, ossia la paura di affrontare la mafia in modo effettivo e non a parole. La paura di vedere che la mafia e la criminalità organizzata sono molto presenti. La paura di dover riconoscere che in Toscana si sversano i rifiuti. Negli ultimi tempi sono avvenuti tuttavia alcuni cambiamenti culturali che aprono nuovi scenari.

«La questione rifiuti – spiega il focus – determina un mutamento epocale nel disagio che subisce la Toscana. Nel 2013 la camorra sversava. Nel 2017 imprenditori locali sversano con intercettazioni choc, paragonabili a quelle dei peggiori camorristi: “che muoiano i bambini non m’importa”. Nel 2017 al mercato ortofrutticolo di Firenze un imprenditore locale si rivolgeva alla ‘ndrangheta per riscuotere un debito. Segnale bruttissimo. Negli ultimi anni ci sono state importantissime operazioni di polizia giudiziaria nell’ambito del porto di Livorno, dalle quali è emerso l’interesse criminale della ‘ndrangheta nei confronti dello scalo marittimo toscano. Le ‘ndrine lo utilizzano per i suoi traffici. Alcune inchieste hanno anche messo in luce la presenza sul territorio di cartelli di imprese, costituite appositamente per truccare gare di appalto e permettere la rotazione delle ditte».

Sono anni che la Fondazione Antonino Caponnetto denuncia il radicamento, ormai trasformatosi in “colonizzazione”, della mafia nel territorio toscano. Mai nessuno in tutti questi anni – ne sono passati troppi – ha colto il grido di allarme più volte lanciato, anche con rapporti dettagliati, dalla Fondazione. Un quadro puntuale che emerge dalle relazioni annuali e semestrali delle strutture investigative e giudiziarie dell’Antimafia.

Camorra e rifiuti «In Toscana – si legge nella Direzione investigativa antimafia, II° semestre 2016 – la camorra appare variamente distribuita, con insediamenti più significativi in Versilia e nella provincia di Prato. L’organizzazione mira a mantenere un profilo basso, senza ricorrere ad azioni criminali che possano destare clamore e quindi sollecitare l’attenzione degli inquirenti. Sul territorio operano sodalizi casertani e clan napoletani, che gestirebbero – senza apparenti conflitti – le attività illecite. Tra queste, l’illecito smaltimento dei rifiuti – business in cui la camorra ha assunto negli anni un’elevata specializzazione – si conferma un settore di riferimento anche sulla Toscana. È quanto si rileva da un’indagine, già richiamata nell’analisi introduttiva al presente capitolo, conclusa nel mese di settembre dalla Guardia di Finanza. Le investigazioni (procedimento penale 5695/14 del Tribunale di Firenze), che hanno portato all’arresto di sei persone, al sequestro di beni per 7 milioni di euro e all’emissione di 8 interdittive dell’esercizio della professione, hanno accertato la natura dei rapporti affaristici, ormai consolidati, tra imprenditori toscani ed esponenti del cartello dei Casalesi – gruppi Schiavone-Zagaria, finalizzati all’illecito smaltimento di rifiuti industriali. Non a caso, presso le aziende oggetto delle indagini sono state individuate 80.000 tonnellate di rifiuti smaltiti in modo illegale. È stato, invece, eseguito a fine ottobre dall’Arma dei Carabinieri l’arresto, a Firenze, di un soggetto originario della provincia di Caserta, intraneo al clan dei Casalesi, con la contestuale denuncia di altre tre persone (in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere nr. 437/16 Reg. mis. caut. – p.p. nr. 23597/14 R.G.N.R.PM -, emessa dal Gip del Tribunale di Napoli il 21 ottobre 2016). Il soggetto è stato accusato di associazione di tipo mafioso e intestazione fittizia di beni, mentre gli altri tre di impiego di denaro di provenienza illecita, aggravato dalle finalità mafiose. Al centro della vicenda la compravendita di una struttura di ristorazione fiorentina».

Cosa nostra in Toscana «Nell’intento di perseguire illeciti guadagni, l’influenza di cosa nostra in Toscana non si fonda sul canonico controllo del territorio ma, grazie alla spiccata capacità di mimetizzazione, si sviluppa attraverso tentativi di condizionamento della gestione pubblica, finalizzati soprattutto all’ingerenza negli appalti ed alla infiltrazione dell’economia. Tale strategia risponde, con forme sempre più sofisticate, alla precipua volontà di soggetti affiliati o contigui di non destare allarme sociale. Le attività di contrasto concluse nel tempo hanno rilevato presenze di soggetti vicini ad organizzazioni criminali di matrice siciliana, integrati nel tessuto sociale, dediti prevalentemente al reinvestimento di capitali illeciti, avvalendosi anche di figure professionali dotate di competenze specifiche in campo finanziario e tributario».

‘Ndrangheta in Toscana «Per quanto in Toscana non risultino attive locali di ‘ndrangheta, le cosche continuano a manifestare interesse verso diversi settori dell’economia legale, utilizzati per il reimpiego di denaro proveniente dalle attività illecite. Rilevano, in particolare, l’acquisto e la gestione di esercizi commerciali (specie di ristorazione e intrattenimento), l’attività d’impresa esercitata in forma diretta o indiretta, l’aggiudicazione di lavori pubblici e privati, il mercato immobiliare e il trattamento dei rifiuti. In tale contesto sono segnalate presenze di soggetti riconducibili all’articolazione emiliana della ‘ndrina Grande Aracri di Cutro (KR) ovvero alle famiglie crotonesi, in specie quelle di Strongoli (KR), operative tra Firenze, Prato e Pistoia. Anche San Gimignano (SI) è stato interessato dalla sopra richiamata operazione “Alchemia” della D.I.A. e della Polizia di Stato: uno dei soggetti destinatari del provvedimento, socio di un’azienda con sede in provincia di Firenze, era lì domiciliato. Sempre la D.I.A., nel mese di settembre ha eseguito, in provincia di Prato, un provvedimento di confisca del patrimonio, del valore di circa 4 milioni di euro, nella disponibilità di un soggetto calabrese ivi residente e ritenuto contiguo alle ‘ndrine dei Bellocco e Pesce di Rosarno (RC). La città di Prato è emersa, tra l’altro, nell’ambito di uno degli sviluppi dell’operazione “Grecale Ligure”, che si è concretizzato, nel mese di novembre, con il sequestro (ordinanza nn.2840/15 e 2233/16 R.G.G.I.P. emessa dal Tribunale di Piacenza in data 19 novembre 2016) eseguito dal Centro Operativo di Genova, delle quote di una società – appunto con sede a Prato e del valore di oltre 10 milioni di euro – che gestiva una nota casa di riposo».

Un’escalation che è proseguita per tutto il 2017 con gli ultimi anni che sono stati anni disastrosi per la Toscana. Numerosissime sono state le operazioni antimafia o fatti di mafia che hanno interessato il territorio, almeno 15 operazioni dal 2015 al 2018 tra arresti e ricerca di latitanti. Non ultima quella riguardante il superlatitante di cosa nostra Matteo Messina Denaro che, secondo un’inchiesta pubblicata da L’Espresso, si troverebbe in Toscana protetto anche da esponenti della ‘ndrangheta. A raccontarlo al giornalista del settimanale sarebbe stato un 45enne toscano. Il boss di cosa nostra è latitante dal 1993 e l’ultima volta è stato proprio visto in Toscana, a Forte dei Marmi.

Infine un dato da non sottovalutare, quello relativo al boom dei reati. Durante l’inaugurazione dell’Anno giudiziario 2018, il presidente della Corte di Appello, Margherita Cassano, ha messo in evidenza un netto aumento percentuale dei reati, ed in particolare: +19,7% di delitti contro la vita e contro l’incolumità individuale; +30,6% i delitti contro il patrimonio mediante violenza a cose o persone (cioè le rapine); +31,8% delitti in materia di stupefacenti; +30,6% reati contro il patrimonio mediante frode, cioè le truffe; +29,5% delitti contro la libertà individuale (violenze sessuali e reati ex art. 609 ter e quater del codice penale); +41,7% reati contro la famiglia”. E ancora: «Sono in costante aumento gli affari penali: presso la corte di appello i processi penali sono aumentati del 24,3% e nel settore di competenza della corte di assise si è registrato un aumento complessivo del 46,7% tanto più significativo laddove si consideri la tipologia dei reati di particolare allarme sociale di sua competenza».

«Oggi – concludono dalla Fondazione Caponnetto – la Toscana se da un lato è sicuramente meglio delle realtà del sud ad alta densità mafiosa, dall’altro è peggiorata, al punto tale che si può definire terra di colonizzazione mafiosa. Oltre a ciò stiamo assistendo anche ad un utilizzo di metodi mafiosi anche da parte di persone toscane».