Sei arrestati e diciassette indagati: è questo il bilancio dell’indagine sul doping nel ciclismo dilettantistico, svolta dalla Squadra mobile della Questura di Lucca sulla squadra ‘Gran Fondo del Diavolo Altopack Eppela’ di Altopascio, in Italia tra i primi dieci team del ciclismo dilettantistico.
Le indagini A monte di questa inchiesta c’è la morte lo scorso 2 maggio di un giovane ciclista, Linas Rumsas, che a soli 21 anni ha perso la vita per cause tuttora in corso di accertamento. Come ha spiegato nel corso della conferenza stampa il Procuratore di Lucca, Pietro Suchan, l’indagine sulla morte del giovane ciclista di origine lituana è tuttora aperta ed entra nell’inchiesta che ha portato oggi agli arresti solo come punto di partenza. La morte di Rumsas è apparsa fin da subito sospetta: il giovane, infatti, nelle settimane precedenti al decesso aveva disputato delle gare molto dure, con risultati nettamente superiori rispetto a quelli ottenuti nel passato e questo aveva fatto pensare all’uso di farmaci non autorizzati. Ad aggravare la situazione, la presenza tra i direttori sportivi del team nel quale militava il giovane ciclista del padre del ragazzo, Raimondas, anch’egli ciclista di fama internazionale che, in passato, era stato coinvolto in indagini per traffico internazionale di sostanze dopanti, assieme alla moglie, Edita Rumsiene. Il quadro di insieme aveva fatto ampliare il raggio d’azione degli inquirenti, coordinati dal Pm Salvatore Giannino, che, dalla famiglia Rumsas, hanno allargato le indagini all’intero staff del team ciclistico. E’ stato così che è venuto alla luce un uso diffuso della pratica del doping. Lunghe, complesse e che non hanno certo ottenuto la collaborazione delle persone coinvolte. Queste sono state le indagini svolte dalla Squadra Mobile di Lucca, guidata da dottoressa Silvia Cascino, hanno portato alla luce un giro molto più vasto di quello che inizialmente si potesse pensare esistesse. Fondamentali sono state le intercettazioni telefoniche che hanno permesso agli investigatori non solo di capire gli intrecci che esistevano tra i vari personaggi coinvolti, ma anche di far effettuare controlli mirati ai ciclisti, in occasione di particolari gare. Dalle intercettazioni, inoltre, la polizia ha capito come venivano chiamati in codice i farmaci: ‘meloni gialli’ e ‘meloni verdi’ per l’epo a seconda del dosaggio, prendendo spunto dal colore delle siringhe. Altre volte si parlava di ‘pizza’ e infine c’è il ‘jolly’, una sostanza da prendere immediatamente prima della gara impegnativa, che dà risultati immediati e molto potenti con il vantaggio di essere bruciata in tempi molto rapidi, tanto da essere non rintracciabile o comunque difficilmente individuabile nei controlli antidoping. Nel corso delle indagini, gli investigatori hanno anche verificato che tutti i protagonisti di questa vicenda usavano una certa accortezza nel muoversi: su tutti infatti spicca il fatto che ‘smaltivano’ i rifiuti in zone molto lontane da quelle abitualmente utilizzate dalla squadra come ritiro o ‘clinica’, in modo che fosse difficile creare dei collegamenti. Tutto il materiale di questa indagine sarà adesso inviato anche alla procura antidoping, che ha già acquisito del materiale, affinché possa sviluppare anche altri filoni di indagine.
Gli arrestati Sono sei, in totale, le persone finite in manette. Innanzi tutto vi è Luca Franceschi, il proprietario della squadra Gfdd Altopack Eppela’ che si era preso il compito di reclutare i giovani ciclisti più promettenti che, dopo l’ingaggio, motivava al doping e procurava loro le sostanze dopanti, tra le quali l’epo in microdosi. Un ruolo importante, poi, lo hanno avuto in questa vicenda i genitori di Franceschi: Narciso Franceschi e Maria Luisa Luciani, proprietari della casa che era costantemente messa a disposizione degli atleti e dove era stata allestita una sorta di ‘clinica’, dove i giovanissimi ciclisti andavano dopo le gare per le somministrazioni (in vena) dei farmaci non consentiti. In manette anche il direttore sportivo della squadra Elso Frediani: era l’esperto del modo e tempi di somministrazione del doping. Inoltre, era avvantaggiato in questo compito poiché occupandosi della preparazione atletica dei ciclisti, faceva in modo, anche attraverso consulenze mediche, che i giovani prendessero le sostanze nel modo più corretto per non incappare nei controlli e venire squalificati. Dopo l’allontanamento di Frediani, è subentrato, a tutti gli effetti, Michele Viola, ex corridore e preparatore atletico della squadra: per la Polizia è lui che ha venduto l’epo a Franceschi, e che ha dato i consigli su come assumere la sostanza al fine di eludere i controlli antidoping. Infine, è stato arrestato anche Andrea Bianchi, ciclista amatoriale ma soprattutto farmacista, che riforniva la squadra dei farmaci, anche di natura oppiacea, coadiuvanti dell’epo, di cui aveva bisogno, senza la necessaria ricetta medica. Per la Procura di Lucca i sei devono rispondere del reato di associazione a delinquere finalizzata a commettere più delitti in materia di doping allo scopo di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti. Tre di loro (Francheschi, Frediani e Viola), devono inoltre rispondere anche dell’accusa di aver commercializzato farmaci dopanti attraverso canali diversi da quello delle farmacie ufficiali, con l’aggravante, solo per Frediani, di aver commesso questo reato da iscritto alla Federazione ciclistica italiana.
Gli indagati L’indagine, che è ancora lontana dall’essere conclusa, vede inoltre diciassette persone indagate a vario titolo. Tra queste spicca un noto medico sportivo al quale Frediani si sarebbe rivolto in varie occasioni per avere delle consulenze sull’uso di farmaci non permessi in modo tale che non fossero individuati in caso di controlli antidoping. C’è poi un avvocato del foro di Lucca che, invece, dovrà rispondere del reato di favoreggiamento e patrocinio infedele: secondo alcune intercettazioni, infatti, l’avvocato avrebbe dato consigli su come eludere le indagini ed era quindi a conoscenza del reato che veniva commesso. Non è inserito nell’associazione a delinquere ipotizzata dalla Procura, ma ugualmente indagato, anche il secondo direttore sportivo che avrebbe comunque somministrato e favorito l’uso dei farmaci ai ciclisti. E indagata è anche la compagna di Franceschi che, invece, aveva il compito di portare alle gare le sostanze dopanti. Nella rete della Polizia ci sono anche due ciclisti amatoriali: uno avrebbe fornito le sostanze dopanti ad alcuni corridori della squadra attraverso Frediani e l’altro avrebbe assicurato una via diversa di approvvigionamento di queste sostanze, quando il farmacista non era in grado di trovarle. Oltre a questi, è sottoposta a indagine la maggior parte dei ciclisti che hanno partecipato alle gare dell’anno 2016/2017: per loro si configura infatti il reato di frode sportiva.
I sequestri Perquisizioni non solo a Lucca, ma anche nelle province di Pistoia, Livorno e Bergamo, mentre, a seguito dell’indagine, sono finite sotto sequestro 25 fiale di Epo Retracrit Epoetina che erano conservate da Viola nella sua abitazione, più precisamente nel frigorifero, mentre a casa di Franceschi e dei suoi genitori sono stati trovate siringhe, aghi butterfly, cateteri endovenosi e flaconi di Ringer Lattato e Glucosio, coadiuvanti dell’Epo. Nel ritiro della squadra infine vi erano potenti antidolorifici che rientrano nella tabella delle sostante stupefacenti e psicotrope, tutte senza la prescrizione medica necessaria, nonché un alto numero di siringhe e aghi. Alcuni ciclisti, infine, sono stati trovati in possesso di confezioni di testosterone e ormoni per la crescita, anche in questo caso, senza alcuna ricetta medica.
L’appello del Procuratore Il Procuratore di Lucca si è detto sorpreso del quadro che è venuto fuori dalle indagini, soprattutto perché coinvolge giovanissimi che mettono facilmente a repentaglio la propria salute, in nome di un successo sportivo e in questo vengono in qualche modo supportati anche dai genitori. Ha quindi lanciato un appello: «Adesso è il momento di parlare chi sa qualcosa, parli. Ora, non tra un anno, venga e ci dica quello che sa. A conferma, perché i risultati li abbiamo già e non abbiamo bisogno di rivelazioni, ma è giunto il momento di voltare pagina ed evitare ulteriori lutti e sofferenze inimmaginabili per la morte di giovani sportivi. L’indagine non è chiusa e il mio appello è quello di collaborare ora e lanciamo questo invito a chi si sente di volerlo fare».