La prima sezione penale del Tribunale di Firenze, presidente Gaetano Magnelli, ha condannato oggi per bancarotta fraudolenta gli ex manager dell’industria Richard Ginori 1735, Roberto Villa, già presidente del cda, a 4 anni, e gli amministratori Alessandro Mugnaioni, Alberto Franceschini, Mauro Zanguio, a 3 anni. I quattro erano imputati del crac della storica azienda, dichiarata fallita nel 2013, per aver dissipato il patrimonio sociale cedendo nel 2004 lo stabilimento di Sesto Fiorentino per un’operazione immobiliare non realizzabile e diversa dall’oggetto sociale che prevede la produzione di porcellane e ceramiche. Per il Pm Luca Turco non c’erano le condizioni per l’operazione, a partire dai bilanci in perdita (6,2 mln di rosso nel 2003 e ben 27,5 mln nel 2004) tali da non consentire iniziative. Villa era anche accusato di aver favorito nel 2011 pagamenti da Richard Ginori 1735 a Starfin spa, società riferibile allo stesso Villa, nonostante il dissesto della Richard Ginori e a danno degli altri creditori. Per i quattro condannati il collegio ha stabilito anche interdizioni dall’esercizio delle attività d’impresa.

«Venduta anima al diavolo» «Con l’operazione» immobiliare «gli imputati hanno venduto l’anima di Richard Ginori al diavolo», aveva detto nella requisitoria il Pm Turco, chiedendo la condanna di Villa e degli altri manager accusati con lui di bancarotta fraudolenta, «perché Richard Ginori non aveva le risorse per proseguire l’attività caratteristica e contemporaneamente realizzare un nuovo stabilimento e procedere nell”iniziativa immobiliare. A Villa – sempre il Pm Turco – non interessava l’anima di Richard Ginori ma interessava la speculazione edilizia, e per perseguire l’obiettivo ha venduto l’anima al diavolo. Nel momento in cui compie l’operazione» l’azienda «è sull’orlo del baratro» e comunque, sottolineava Turco, nel periodo 2004-2006 le perdite di esercizio ammontano a 45 milioni di euro secondo la curatela. L’operazione immobiliare non apportò alcun beneficio alla gestione operativa, ha detto sempre l’accusa ricordando, tra le criticità, la sottocapitalizzazione, il pesante indebitamento, la carenza finanziaria. Anche la mancanza di un piano di fattibilità ha portato l’accusa a contestare che, in fondo, la vendita dello stabilimento storico fosse stata operazione priva di «valide ragioni economiche» e idonea, invece «a determinare la dispersione della principale garanzia a presidio dei creditori» a vantaggio degli «interessi immobiliari di Villa e della controllante Starfin». Luci puntate, nell’inchiesta, anche sulla Starfin, che faceva capo a Villa, società tra i maggiori creditori e finanziatori della Ginori (ripianò le perdite per un periodo) mentre era in cattive acque. Da indagini della Consob risultò che Starfin era sostenuta con capitali ‘schermati’ di società con sedi in sostenuta con capitali ‘schermati’ di società con sedi in paradisi fiscali. Società di cui non è stato possibile risalire agli effettivi titolari.