sindaciUna cosa è certa: il PD di Matteo Renzi, sotto il profilo organizzativo e dei meccanismi decisionali, è distante anni luce dai fu DS, e ancor più dal PDS (non parlo del PCI perché lì trasmigriamo in un’altra dimensione spazio-temporale). E lo è anche nei livelli territoriali, compreso quello provinciale.

Nel partito dei Sindaci – modello uscito vincente all’ultimo congresso PD – e in un territorio non più governato da un ente provinciale con un Presidente eletto direttamente dai cittadini, bensì da un ente di secondo grado costituito da Sindaci, quale ruolo può svolgere il partito provinciale? O meglio ancora: in questa sorta di “sindacocrazia” ha ancora una ragione d’essere il livello provinciale?

Premetto che il mio è un ragionamento che prescinde dalla buona volontà, dalle capacità e dall’impegno profuso quotidianamente dalle tante persone che svolgono il loro compito negli organismi del partito provinciale, soprattutto in quelli esecutivi. Un impegno difficile, frutto di passione e spirito di servizio, e a differenza che in passato anche svolto quasi sempre gratuitamente. Un lavoro spesso ingrato, fatto in mezzo a mille difficoltà, e in una fase oggettivamente complessa sotto ogni punto di vista. Ma appunto un lavoro già a priori mortificato e marginalizzato dal sistema.

Il ruolo del partito provinciale appare marginale rispetto ad esempio alle dinamiche amministrative comunali. La scelta dei candidati a Sindaco avviene mediante elezioni primarie fondate su autocandidature. Chiunque può trovare una manciata di firme, presentarsi e fare campagna elettorale. Punto. Il PD provinciale, se si esclude il comunicato di prassi dove celebrare la forza democratica e partecipativa delle primarie, poco altro sembra poter fare in quella fase lì. Una volta individuato il candidato con le primarie – per partecipare alle quali è chiesto il solo requisito di essere un bipede con pollice opponibile – il futuro sindaco si fa il proprio programma con il proprio comitato (o al massimo con ciò che è rimasto in piedi del partito comunale dopo l’immancabile tornado post-primarie) e si presenta alle elezioni. Il partito provinciale nel frattempo costituisce tavoli di lavoro per elaborare le linee programmatiche provinciali, e magari partorisce qualcosa di veramente apprezzabile, così come è avvenuto con grande impiego di energie, ed ottimi esiti, a Siena. Ma poi di tutta quella roba lì se ne trova ben poca traccia nei programma dei candidati, i quali se la cavano con un generico impegno a tenerne conto durante il loro mandato. E se poi c’è il lieto fine e il candidato a Sindaco vince anche le elezioni, beh la sua legittimazione derivante da ben due pronunciamenti popolari nell’arco di poche settimane è così intensa, e il legame instaurato con il corpo elettorale è cosi diretto, che la sua principale preoccupazione è sicuramente rendere conto ai cittadini piuttosto che rapportarsi con il partito provinciale o tantomeno prendere indirizzi da esso.

Ma anche se il lieto fine non c’è e le elezioni le si perdono, il provinciale non risulta parte in causa.  In provincia di Siena si è raggiunto il record di Comuni persi, ben cinque, e in ogni circostanza le lettura politica è stata che tutto è dipeso solo ed esclusivamente da dinamiche comunali, tanto che nei comuni persi si è proceduto ad un azzeramento totale degli organismi locali del partito, evidentemente considerati esclusivi responsabili delle mancanze causa della sconfitta. Ben altro accadeva un tempo.

Passando dal contesto comunale a quello provinciale, è evidente come il venire meno della dimensione di un ente con un presidente eletto dall’intero corpo elettorale provinciale, sulla base di un programma che travalichi e sia qualcosa anche d’altro rispetto alla sommatoria delle singole esigenze di comuni e territori, rimetta in discussione il ruolo del partito provinciale. E se ci aggiungiamo che il nuovo ente sarà governato da Sindaci, portatori di tutto quel carico di autonomia e legittimazione popolare di cui parlavamo prima, e di tutte le competenze e le capacità politiche ed amministrative utili ad elaborare un programma e approntare le misure organizzative idonee ad attuarlo, allora l’intervento del partito in questa dimensione diventa da ricostruire completamente. In un ente poi di secondo grado viene in buona parte meno anche l’esigenza del sostegno politico ai fini del consenso, un compito fondamentale di un partito, visto che non ci saranno più elezioni da vincere, e dunque ci sarà meno bisogno di convincere i cittadini della bontà delle cose fatte. Mi fermo qui, perché se poi l’intento di cancellare davvero le province troverà alla fine attuazione, tutto ciò detto fin qui aumenta all’ennesima potenza.

Possiamo anche andare oltre e ragionare del ruolo del partito provinciale negli organismi di indirizzo dei servizi pubblici (non parlo delle società di gestione per non fare peccato, perché lì il partito non deve mettere bocca… ma insomma, diciamocelo che tanto non ci sente nessuno, anche in quel caso vale discorso analogo a quello che sto per fare). Oramai gli ambiti territoriali per la gestione del servizio idrico integrato, dello smaltimento dei rifiuti, del trasporto locale, sono tutti sovraprovinciali e sempre più tendenzialmente coincidenti con l’ambito regionale. Il coordinamento politico, l’attività di indirizzo, l’analisi gestionale, per forza di cose si riversano sul partito regionale, sottraendo ruolo a quello provinciale. Più cresce l’ambito di riferimento, più avanza il processo di accorpamento e centralizzazione, e più il contesto provinciale diventa marginale. Una cosa è avere come riferimento una soggetto di indirizzo con dentro i 36 Comuni della provincia di Siena. Tutt’altra cosa quando il soggetto ne racchiude centinaia, e il compito del partito può al limite rimanere in via residuale quello di coordinare una posizione provinciale, ma in un contesto di interessi intraprovinciali tra i comuni comunque variegati e potenzialmente in relazione con quelli di comuni di altre province.

La riposta alla domanda posta all’inizio di questa riflessione parrebbe dunque scontata: il livello provinciale del PD non serve più. Affermazione che in più di un’occasione ho sentito fare durante l’ultimo congresso da sostenitori della mozione Renzi, nei termini dell’impegno alla “cancellazione delle strutture intermedie del partito”.

Io non sono d’accordo, per niente, perché credo nell’importanza dell’esistenza del livello provinciale del partito. Come credevo importante che le province rimanessero un ente di primo grado. Ma non lo sono, d’accordo, perché ritengo sbagliato l’intero modello di governo e decisionale del PD, e l’ho detto insieme a molto altri apertamente durante il congresso, giudicando sbagliato il “partito dei Sindaci” e  battendomi per un modello alternativo. E dunque ritengo da correggere tutti i meccanismi descritti in precedenza (compresa la regionalizzazione degli ambiti ottimali). Ritengo sbagliate le premesse di sistema, e dunque anche le conclusioni…

Sarebbe invece interessante sapere cosa ne pensi sul tema chi quel modello lo condivide e lo promuove.