Pubblichiamo l’intervista a Rino Rappuoli uscita questa mattina sul quotidiano La Nazione di Siena a firma di Orlando Pacchiani. L’amministratore delegato di Gsk Vaccines Srl, da anni figura centrale nella mondo della ricerca e creazione di vaccini, ieri ha ricevuto un prestigioso riconoscimento alla carriera che dedica ai suoi collaboratori e alla città. Pubblichiamo anche la foto presa da radicofanivaldorcia.it che lo ritrae davanti al Facciatone del Duomo di Siena che nel suo discorso ha voluto citare come fonte d’ispirazione. Grazie al suo lavoro sono state salvate nel mondo milioni di vite umane.

«Un premio non solo per me, ma per tutti quelli che nei decenni passati hanno lavorato a Siena e Rosia. Spero che ne siano orgogliosi». È un tributo a una storia che viene da lontano, quello pronunciato da Rino Rappuoli dopo la premiazione che lo ha riconosciuto padre della moderna vaccinazione all’«European inventor award», promosso dall’Ufficio europeo dei brevetti (Epo, European pattern office) con sede a Monaco di Baviera. Ieri la cerimonia a Venezia che ha visto tra i premiati lo Chief scientist di Gsk Vaccines.

Rappuoli, cosa significa per lei questo successo?
«Per me era già un successo essere tra i nominati, significava che il lavoro non di una singola persona ma di un gruppo era stato riconosciuto come un polo fondamentale di innovazione. Tra Siena e Rosia sono stati ideati, sviluppati e prodotti vaccini distribuiti in tutto il mondo. E questo risultato dimostra che anche da noi si possono fare grandi cose. L’Italia ha il difetto di piangersi spesso addosso, ma questa è una delle dimostrazioni che possiamo essere all’avanguardia in un settore di alta innovazione, che crea posti di lavoro, fatturato, alti investimenti».

Alla premiazione lei ha citato il Facciatone del Duomo come una sorta di paradigma…
«Ho voluto ricordare quella storia straordinaria, di una città che stava progettando un’opera incredibile e che fu fermata anche dalla peste del 1348. Fu fermata, ma sopravvisse. E secoli dopo si è trovata all’avanguardia nella lotta alle malattie infettive».

Quanto c’è da fare ancora in questo settore?
«Tantissimo, soprattutto una cosa: non darle mai per scontate come se fossero una cosa del passato. Sono molte le malattie infettive emergenti e riemergenti, dall’Hiv, all’Ebola, alla Sars. Le emergenze saranno sempre più frequenti, anche perché la popolazione cresce sempre di più e in alcune parti del mondo vive in megalopoli che sono pericolosi incubatori. Dobbiamo diventare una società che sa prevenire sempre di più».

In questo scenario globale allarmante, come valuta il ritorno delle polemiche sulle vaccinazioni e la scelta del governo di renderle obbligatorie?
«La mia idea è che una volta tanti problemi non c’erano perché genitori e pediatri avevano visto cosa significavano la difterite, il tetano, la pertosse. Oggi no e credo che ci sia stata una mancanza di comunicazione nel far capire alle nuove generazioni quanto siano fortunate a non soffrire di certe malattie. L’unico modo per uscirne è stato fare una legge sull’obbligatorietà: non è l’ideale, ma è il male minore».

Bebe Vio l’ha citata come la persona che l’ha convinta davvero a impegnarsi per le vaccinazioni anti meningite. Cosa le ha detto?
«Era interessata a saperne di più e le ho spiegato come lei sia l’esempio dei guai prodotti da una cattiva educazione. Purtroppo sulla sua strada ha trovato un pediatra che ha sconsigliato la vaccinazione anti-meningite. Ha perso mani e gambe, ma può dirsi fortunata perché tutti la davano per spacciata. Con grande coraggio ha vinto la sua battaglia, ora può essere un esempio affinché nessun pediatra metta a rischio la vita di altri bambini solo perché non educato bene».

Da La Nazione Siena del 16 giugno 2017