italbasketLe contraddizioni del nostro basket. Da sempre diciamo e ci sentiamo dire che la qualità dei nostri allenatori è altissima, probabilmente la più alta in Europa. I processi formativi e la progressione dei corsi, per quanto accidentati (e costosi), effettivamente producono una alta qualità dei tecnici. Al tempo stesso la maggior parte di questi allenatori opera nei settori giovanili, a vario livello ed in varie forme, e sono tra i primi presunti responsabili del deficit che i nostri giocatori denotano nei confronti dei pari età europei nelle manifestazioni internazionali. Da qui il dibattito tecnico sulla preparazione del giocatore italiano, affetto dalla sindrome della mania tattica “italiota” incentrata a vincere “scudettini”, contro la formazione individuale che gli avversari europei o delle altre nazioni in genere prediligono.

beliparkerE poi, a caduta, la valanga dei luoghi comuni: «guarda quanti spagnoli in Nba» seguito da «in Eurolega sono anni che non vinciamo» e poi «le nostre nazionali non portano a casa niente». E allora via alle regole per gli italiani supportati dal sempre presente sindacato (ci mancherebbe, come in ogni corporazione che si rispetti), che, però, chiedono più soldi di un americano (o di un comunitario o di un coutonou) che arriva con la fame di affermarsi per trovare un contratto sempre migliore l’anno dopo (ovviamente ritenuti vili mercenari). Regole di tutela che, però, non valgono per la categoria degli allenatori che, dopo anni di vacanze sacrificate per costosi corsi, chilometri di strada e lezioni di aggiornamento alla fine della salita subiscono la concorrenza degli stranieri, soprattutto per le panchine di alto livello.

messinaE poi, in tutto questo, basterebbe guardarsi intorno per vedere che tutto sommato quattro giocatori sono in Nba con ruoli diversi ed in qualche caso molto significativi (Belinelli su tutti), coach Messina firma un triennale da assistente nella squadra simbolo del basket d’oltreoceano e più allenatori italiani hanno importanti contratti in Europa. E poi Aradori al Galatasaray e le nazionali giovanili che denotano progressi importanti. Allora forse non è tutto da buttare e basterebbe forse partire dal presupposto che chi arriva da un percorso di miglioramento, sacrificio e progresso (giocatori o allenatori che siano) va in campo o allena, senza tutele. Sarebbe un buon principio per spingere tutti a migliorare e non a spendere il tempo per farsi, come dicono loro, «rispettare». In una parola, si direbbe «merito». Forse la cosa che più ci allontana da tutti gli altri.