Parlare di peperoncini con Massimo Biagi è come parlare di ciclismo con Coppi e Bartali contemporaneamente. “Ma per favore – ci tiene a precisare –, non chiamatemi professore, come mi capita spesso in interviste tv, perché non lo sono”. E allora lo chiamiamo ‘il collezionista’ come piace a lui. Anche perché nella sua personalissima collezione di peperoncini piccanti, ne ha almeno 1500 varietà diverse, alcune addirittura uniche ed introvabili.

Massimo Biagi, pisano, è un funzionario tecnico (oggi in pensione) del Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie della Facoltà di Agraria dell’Università di Pisa. E’ delegato per la Toscana dell’Accademia Italiana del Peperoncino (con sede a Diamante-Cs), e responsabile per la parte biologica e fa parte di 19 Associazioni mondiali del peperoncino.

Quello che leggerete, più che un’intervista ad un collezionista di peperoncini è un viaggio andata e ritorno alla scoperta dell’affascinante mondo della piccantezza: tendenze e consumi, curiosità, mercato, varietà, aspetti salutistici e culinarie, pillole di storia.

Massimo Biagi, l’Italia è più un Paese di produttori o di consumatori? E quali sono le regioni italiane con la maggiore produzione?

L’Italia è un paese di consumatori, che stanno continuamente apprezzando e conoscendo sempre di più il peperoncino che fino a qualche anno fa era conosciuto, in Italia, e apprezzato solamente dalle popolazioni del Sud dove veniva coltivato e trasformato. Il peperoncino non è solo piccante, è un grande insaporitore, quindi serviva ad insaporire i piatti poveri e, nelle famiglie contadine, veniva molto usato e i figli, si può dire che crescevano a pane e peperoncino. Ancora oggi, i più grandi produttori sono in Calabria, Puglia e Basilicata, ultimamente si sta inserendo anche la Sicilia. Purtroppo però la produzione italiana arriva appena al 30% del nostro fabbisogno, il rimanente 70% viene importato, secco o in polvere, dall’Asia, Africa e Sud America.

Quanto vale in termini economici la produzione di peperoncini a livello nazionale?

In termini economici, non sono in grado di esprimermi, anche perché ogni anno varia la produzione. Ci sono aziende che chiudono per i pochi profitti e vengono così abbandonate vaste aree di produzione. Questo perché il peperoncino ‘nostrano, sia secco sia trasformato in polvere, ha un costo maggiore rispetto a quello importato (soprattutto per l’incidenza della manodopera che nei paesi di produzione risulta sottoremunerata). Non viene quasi mai considerato che il nostro prodotto offre condizioni igieniche migliori e la certezza di quella qualità e tracciabilità che proprio il comparto industriale nazionale, ritiene indispensabile per la diffusione sia a livello interno ed estero del nostro prodotto, considerando che questa è l’unica arma per vincere la concorrenza mondiale. Igiene e qualità. Dobbiamo considerare e capire che oggi la produzione mondiale del peperoncino, che è coltivato in circa 3,9 milioni di ettari, ammonta a circa 35 milioni di tonnellate di prodotto fresco e di 3,5 milioni di tonnellate di prodotto secco. Grandissima concorrenza. E’ pur vero, che dopo il sale marino è il prodotto più consumato al mondo.

Esiste una filiera del peperoncino nostrano?

Ultimamente stanno nascendo filiere di peperoncino nostrano; tantissime aziende, grandi e piccole, soprattutto del Sud, che producevano peperoncini freschi, hanno capito che trasformando loro stesse i loro raccolti, facendo prodotti genuini, chi creme e confetture, chi pasta e olio aromatizzate al peperoncino, chi polveri mono varietali, possono incrementare il loro reddito. Anche in Toscana, nel Lazio, in Emilia stanno nascendo delle piccole aziende che coltivano il peperoncino biologicamente e lo trasformano facendo prodotti di nicchia, certificati Bio, creando delle filiere piccanti importanti.

Quali sono le principali problematiche del settore?

Senza dubbio problematiche ci sono, soprattutto la concorrenza estera che con i loro prodotti a basso costo creano problemi alle nostre aziende. Non abbiamo ancora capito che non è molto affidabile usare polveri e peperoncini secchi e altri derivati che arrivano da paesi lontani, senza sapere che peperoncini sono, come sono stati coltivati, e seccati. Spesso arrivano da noi in sacchi, in casse e personalmente ho verificato che non c’è una garanzia igienica. Non basta vedere nelle buste o nei barattoli “confezionato da…”, occorre leggerci che peperoncino è, dove è prodotto e la piccantezza. Un consiglio che posso dare, se amate il peperoncino, usate prodotti delle nostre aziende italiane. Siamo bravi in questo settore e c’è la garanzia di un prodotto puro, di qualità e di igiene. Avrà un prezzo più alto ma per la nostra salute ne vale la pena.

Sul mercato interno sono presenti varietà autoctone o provenienti dall’estero? Quali?

Nei nostri mercati, se siamo fortunati e nei periodi giusti, parlando di prodotto fresco, riusciamo a trovare dei peperoncini coltivati in Italia. Non possiamo dire che sono varietà autoctone, sono varietà coltivate da anni dai nostri produttori che hanno selezionato le loro varietà per la produzione, per il colore, per il buon sapore e profumo. Spesso in stagione, attenzione, possiamo trovare varietà originarie del Sud America, coltivate in Italia, (Habanero’s e SuperHot) che oggi vanno tanto di moda, ma per ora sono poche le aziende che le coltivano per i costi maggiori che hanno. Nei mercati etnici si trovano tutto l’anno ceste di questi frutti che di solito arrivano da paesi caraibici e da qualche anno anche negli scaffali di qualche supermercato, in vaschette da 100 grammi, coltivati da aziende italiane, ad un prezzo di circa 25 euro al chilo, altrimenti si trovano varietà di Cayenna o simili, verdi o rossi che arrivano dal Marocco o dall’Egitto a prezzi stracciati, che minano e scoraggiano le nostre aziende produttrici. Dovete sapere che questi peperoncini si trovano sui banchi dei supermercati a 2,78 euro al chilo, quanto vengono pagati al produttore ? Non ci siamo. Vi racconto che un giorno, in estate, quindi in stagione, mi sono fermato per la strada a comprare un’anguria ad un ambulante siciliano che aveva una cassetta piena di bellissimi peperoncini cayenna, coltivati in Sicilia, rosso fuoco, cercava di venderli a 15 euro al chilo…capite, non c’è gara.

Lei è anche un grande ‘collezionista’ di varietà: quali sono le più curiose e quelle difficili da reperire?

Ho iniziato, in Dipartimento, quasi 20 anni fa una ricerca sul peperoncino che poi è diventata una mia grande passione. Ho iniziato a collezionare e coltivare e in pochi anni la mia collezione diventava sempre di più importante finchè non ho conosciuto Enzo Monaco, presidente dell’Accademia Italiana del Peperoncino. Io toscano, lui calabrese ma con la stessa passione e amore verso questo ‘frutto’ piccante. Abbiamo iniziato un lungo e affascinante percorso in questo mondo che ci ha portato a percorrere le vie piccanti di tutto il mondo. La mia collezione è arrivata a testare circa 1.500 varietà che oggi, che ho lasciato l’Università, ha trovato ospitalità nell’Azienda di un mio amico, Marco Carmazzi titolare dell’omonima Azienda a Torre del Lago Puccini. L’azienda oltre a curare la mia collezione produce le più belle e rare varietà del mondo diventando un punto fermo e di riferimento degli appassionati. In azienda mi diverto a creare nuovi ibridi ed uno che ci sta dando molte soddisfazioni è ‘il dente di coyote’ registrato, fa un piccolo frutto bianco, con la forma appuntita di un dente, della Specie Capsicum Chinense, molto piccante, aromatico e molto bello sulla pianta.
Da pochi anni, però, sto coltivando un peperoncino rarissimo. Nessuno al mondo lo ha in collezione. Solo noi in azienda. L’abbiamo registrato come ‘Pimento del deserto’ o del ‘Sahara’, mi è stato regalato da un beduino che vive in un oasi del deserto. E’ una pianta molto particolare, con foglie strette e lunghissime, con fiori bianchi e i petali della corolla allungati a stella, fa frutti eretti di color rosso/arancio, con una piccantezza medio/alta con un buon aroma speziato. Ci sto lavorando da tre anni, credo che questa varietà porterà delle novità, mettendo in dubbio che il peperoncino sia solo originario delle Americhe, vedremo.

Sempre più consumatori amano il peperoncino ed in particolare la loro piccantezza: quali sono secondo lei i motivi principali?

Il peperoncino si ama (anche alla follia) o si odia. Chi comincia a mangiarlo e ad apprezzarlo presto ne diventa ‘dipendente’, non può più farne a meno. Un piatto senza il suo peperoncino preferito non sa più di niente… spesso, l’amante del peperoncino, si porta in tasca in una ‘piccanteria’, come si portava nella tabacchiera il tabacco, il proprio peperoncino preferito, per aromatizzare, quando va a pranzo o a cena, i propri piatti offrendolo con grande piacere ai suoi amici. C’è da dire che tantissimi oggi vanno alla ricerca di un peperoncino sempre più piccante, facendosi momentaneamente male, ma poi, nel momento che la piccantezza si attenua in bocca, raggiungono un piacere che li soddisfatti di questa sfida. C’è uno strano meccanismo che ci coinvolge quando mangiamo un peperoncino piccante. I recettori trasmettono la piccantezza al cervello. La reazione è una immediata produzione di endorfine per contrastare tale situazione piccante, dando di seguito una sensazione di benessere. Quindi ‘dolore e piacere’ in sintesi è questa sensazione che ci offre il peperoncino mangiandolo…più piccante, più dolore e subito dopo più piacere.

Ci spieghi meglio: da cosa viene la piccantezza?

Nel 1816 P.A. Bucholtz isolò la Capsaicina e nel 1846 L.T. Thresh la sintetizzò e la battezzò con il nome di Capsaicina. La Capsaicina è irritante per tutti i mammiferi e provoca una sensazione di bruciore più o meno intensa a seconda della quantità di Capsaicina contenuta nel frutto. Non lo è per gli uccelli che si nutrono di queste bacche e conseguentemente diffondono i semi e sono responsabili della straordinaria diffusione del peperoncino in tutto il mondo. La sensazione di sentirsi ‘la bocca in fiamme’, cioè la sensazione di calore che proviamo non è reale, nel senso che non si ha un reale aumento di temperatura nella nostra bocca. La Capsaicina infatti interagisce semplicemente con alcuni termorecettori presenti nella bocca (nello stomaco e nell’ano) chiamati VR1 VRL-1 (responsabili di segnalare al cervello quando la temperatura supera rispettivamente i 43