La trasformò «nel suo bancomat privato» e in un suo riconosciuto centro di «potere e comando». Poi il Credito Cooperativo Fiorentino nel 2010 fallì dopo venti anni di sua incontrastata presidenza e a seguito di dettagliate ispezioni di Bankitalia: sottolineando anche questo, nel processo sul crac della ex Bcc di Campi Bisenzio, il Pm Luca Turco ha chiesto al tribunale 11 anni di reclusione per l’attuale senatore di Ala Denis Verdini, al termine della quinta udienza impegnata dall’accusa. La sentenza è prevista a fine febbraio. In totale i Pm hanno chiesto condanne per 33 imputati; altri 10 invece escono per intervenute prescrizioni. Associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita, sono le accuse per il senatore Verdini a cui va aggiunta quella della presunta truffa allo Stato sull’ampio capitolo processuale per i fondi per l’editoria tramite società e cooperative a Firenze la cui istituzione e operatività sono ritenute dai pm fittizie e solo strumentali a prendere quei contributi. Le due vicende, banca e giornali, negli anni si sono intrecciate, infatti il processo e’ uno solo.
Processo a Denis Verdini I Ppm Luca Turco e Giuseppina Mione considerano Verdini ‘dominus’ unico di azioni illecite su entrambi i versanti. Sulla banca, Turco ha detto che «Verdini la gestiva per il perseguimento di interessi propri e di quelli di società e persone a lui vicini» come «gli amici di affari Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei», i costruttori della ex Btp per cui sono stati chiesti 9 anni ciascuno. Di Fusi il Pm ha parlato come di un cliente speciale della banca, «così vicino a Verdini – ha detto – che concordava con lui azioni combinate», «Fusi era contiguo alla banca» da cui si faceva finanziare quando col socio Roberto Bartolomei «aveva un disperato bisogno di soldi» senza prendere atto «del fallimento societario imminente della sua Btp». Poi il costruttore pratese uscendo dall’aula ha ironizzato sui 9 anni chiesti dicendo che pensava che chiedessero per lui «l’ergastolo». Tra i sodali di Verdini, 6 anni sono stati chiesti per l’onorevole di Ala e «amministratore di fatto» delle società editoriali Massimo Parisi, stretto collaboratore di Verdini. Parisi, che si compiaceva di essere definito «il proconsole di Verdini», è stato indicato dal ém come uno dei simboli dell’intreccio fra banca e giornali: «amministrava di fatto» la Ste senza compenso, ha ricostruito il Pm Turco, ma intanto percepiva denaro come collaboratore della banca Ccf fin dal 1997 mentre dalle indagini risulta che solo nel periodo 2003-2007 ricevette 680mila euro dalle società editoriali del ‘gruppo di fatto’ di Verdini.
Le richieste dei Pm Colpita dai Pm, come prevedibile, la ‘governance’ del Ccf con richieste importanti, fra 5 e 6 anni di reclusione per membri dei cda, revisori dei conti e anche per il direttore generale Piero Italo Biagini (6 anni) indicato come «esecutore» delle direttive impartite da Verdini. La presidenza della banca, ha sottolineato Turco, «consentì a Verdini di avere potere e comando, grazie ai finanziamenti concessi agli amici d’affari» tanto da «costituirsi una posizione di potere» che contribuì pure alla sua azione politica. Tra gli altri imputati sono state chieste condanne per Pierluigi Picerno (4 anni), Girolamo Strozzi (2 anni e 6 mesi), dal 1998 al 2012 presidente della Ste, che pubblicò Il Giornale della Toscana; Fabrizio Nucci (5 anni e 8 mesi). Al termine delle richieste il Pm Turco ha chiesto anche la confisca di beni per un valore complessivo di quasi 23 milioni di euro a carico di Verdini, Parisi e, a vario titolo, di un’altra ventina di imputati.