Veduta con Alessandro Allori, 1578, e Domenico Poggini

Veduta 2Va alla ricerca della ‘identità fiorentina’ nella pittura fra Cinque e Seicento la settima mostra del cartellone ‘Un anno ad arte’ del Polo Museale Fiorentino, la seconda ospitata dalla Galleria degli Uffizi, aperta dal 17 giugno al 2 novembre. Sotto il titolo ‘Puro, semplice e naturale nell’arte a Firenze tra Cinque e Seicento’ si snoda questo ricco e serrato contrappunto tra pittura e scultura che raggruppa 72 opere (13 delle quali restaurate per l’occasione) e 35 artisti in un allestimento cronologico in 9 sezioni che occupa 15 stanze (orario: mart-dom 8.15-18.50, chiuso lun – Info: 055.294883).

Da tutto il mondo a Firenze capolavori in mostra In mostra una vera e propria rassegna di capolavori. Si parte dal primo Cinquecento di Fra’ Bartolomeo e Andrea del Sarto – con una breve incursione nel tardo Quattrocento di Andrea della Robbia – e, tralasciando volutamente gli sviluppi di Rosso e Pontormo, si prosegue attraverso le generazioni di Bronzino e Alessandro Allori, custodi di una vena naturalistica attenta alla verità ottica delle cose. Ecco poi, tra Riforma e Controriforma, Santi di Tito e Jacopo da Empoli, Bugiardini, Sogliani, Franciabigio… fino ad approdare a Ottavio Vannini e Lorenzo Lippi e al pieno fiorire del ‘Seicento fiorentino’ con Carlo Dolci e Cesare Dandini. Un Seicento ‘contromano’ che partendo dalla identità purista traccia una linea ‘diversa’ dal caravaggismo e dal barocco. La maggior parte delle opere proviene dalla Gallerie Fiorentine ma non mancano prestiti importanti: il ‘Battesimo di Cristo’ di Ottavio Vannini (1626-’27) dal Musée des Beaux-Arts di Nantes, il ‘Ritratto di Jacopo Cennini’ del Franciabigio (1523) dalle collezioni reali inglesi di Hampton Court, la ‘Madonna col bambino’ di Carlo Dolci (1642) dal Musée Fabre di Montpellier, la ‘Natura morta’ di Cesare Dandini (1640 ca) del Kunsthistorisches Museum di Vienna, la ‘Cena in Emmaus’ di Filippo Tarchiani (1620-25) appartenuta a William Hearst e donata al County Museum of Art di Los Angeles, il busto del Redentore di Pietro Torrigiani (1505 ca.), riscoperto in Gran Bretagna, e quello di Antonio Novelli (1650 ca.) dal Metropolian di New York.

Lorenzo Lippi, Lot e le figlie
Lorenzo Lippi, Lot e le figlie

La naturalezza nella fiorentinità Il titolo, nè ovvio, nè facile, è quasi una libera citazione dalle parole che Giorgio Vasari usa a metà Cinquecento nelle ‘Vite’ di questi artisti cercando appunto di identificarne lo stile: ‘puro’, cioè senza ornato, ‘semplice’ e ricco di una ‘naturalezza’ che si appoggia sul mito fiorentino del disegno, con prove grafiche di straordinaria finezza realizzate in modo quasi analitico. Uno stile nato tra la Scuola di San Marco (e dunque ispirato alla chiarezza savonaroliana) e la bottega di Andrea del Sarto. Qui si fondano quei princìpi della ‘fiorentinità’ che resteranno validi per oltre un secolo e mezzo: uno stile fatto di parole usuali, ordinate secondo una chiara sintassi, che modella con plastica evidenza figure e cose. Gli stessi valori, negli stessi anni, si rispecchiano anche nella spiritualità popolare e nel dibattito sulla lingua. E alla fine sarà proprio questa la linea vincente che si trasmetterà attraverso i decenni. Il testimone passa dall’uno all’altro artista in un continuo rinnovamento che ogni volta aggiorna i testi e permette di parlare di ‘modernità nella tradizione’. Il carattere resta profondamente ‘municipale’ ma mai miope, pronto alle sollecitazioni che giungono dall’esterno, ogni volta assorbite e reinterpretate attraverso l’arma sicura del disegno. Vasari non amava troppo questi pittori, abbagliato dal mito della ‘Maniera moderna’ di Leonardo, Michelangelo e Raffaello, li riteneva interpreti di una tendenza che a lui appariva superata e senza futuro. E neppure Baldinucci, l’altro grande biografo che scriverà a metà Seicento, li apprezzava troppo, conquistato piuttosto da Correggio. Si deve arrivare al secolo scorso, alle intuizioni di Voss e Mina Gregori, per cominciare a studiare questi pittori, apprezzarli e scoprire il filo sottile che in realtà ha sempre legato i maestri del primo ‘500 a quelli del ‘600 maturo.

Valerio Cioli, Nano Barbino, 1564-66Un appassionato studio alla base della mostra La mostra, diretta da Antonio Natali, è il risultato di un appassionato studio critico condotto da Alessandra Giannotti e Claudio Pizzorusso, docenti universitari presso l’Università per Stranieri di Siena. L’allestimento di Antonio Godoli (con lo studio Avatar-architettura) è realizzato da Opera Laboratori Fiorentini – Civita Group. Il tutto realizzato con il consueto sostegno dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.