Quando lo sport si colora di rosso sangue e le notizie sportive riempiono le pagine di cronaca nera allora lo spirito che dovrebbe animare le competizioni sportive (e non solo) muore. Da ore non si parla d’altro che dei vergognosi episodi che hanno fatto da anticamera alla finale di Coppa Italia. Notizie, analisi e commenti su Gastone e Genny a’ carogna. Sulla debolezza dello Stato ostaggio dell’Antistato. Sulle forze di polizia sotto ricatto di un manipolo di delinquenti che, se non si fosse disputata la partita, avrebbero messo a ferro e fuoco la capitale. Provate ad immaginare cosa sarebbe successo. Dunque, è ovvio, la partita andava giocata. Ma il punto non è questo. Nel frattempo altre notizie, degne di nota e riflessione, sono passate sotto silenzio. Poche ore prima della finale all’olimpico, nella basilica di San Lorenzo fuori le Mura a Roma, sono stati celebrati i funerali solenni del commissario di Polizia Roberto Mancini che per primo fiutò l’enorme affare dei rifiuti e il biocidio che si stava consumando in Campania. Un servitore dello Stato. Un combattente silenzioso che è stato isolato, lasciato solo nella sua battaglia contro le ecomafie. Roberto, 54 anni, è un morto di Stato o meglio vittima di uno Stato che è morto. Si è ammalato lavorando. Il ‘brutto male’ che lo ha divorato, strappandolo alla moglie Monica e alla figlia 13enne, lo ha contratto mentre faceva il suo dovere. Respirando i veleni tossici, nocivi e radioattivi dei terreni contaminati. Mancini è colui che per primo ha scoperto quella che oggi conosciamo come ‘la terra dei fuochi’, quella zona della Campania, tra Napoli e Caserta, stuprata e avvelenata da camorristi senza scrupoli. La terra dei fuochi è come gli stadi. Zone franche dove vigono regole e leggi non scritte. Dove per anni lo Stato ha consentito ai camorristi di seppellire la monnezza e gli scarti industriali provenienti da tutta Italia e da mezza Europa contaminando le campagne e i pozzi. Roberto Mancini, quando lo Stato era ancora dormiente (così lo definì lui stesso in un’intervista), ha prodotto decine di informative e delicati dossier che sono rimasti lettera morta per oltre 20 anni. Insabbiati fino a quando, leggendo i verbali del pentito di camorra Carmine Schiavone, abbiamo scoperto (con grande stupore?!) che lo Stato sapeva ed ha taciuto. Ha nascosto in un cassetto scomode verità. Nel giorno dell’ultimo saluto all’investigatore-eroe mi aspettavo di vedere in prima fila i soliti volti contriti e di circostanza. Invece mi sbagliavo. Gli unici volti ‘noti’ erano il Capo della Polizia Alessandro Pansa e il Viceministro dell’Interno Filippo Bubbico. Quest’ultimo era l’unico rappresentante del Governo presente ai funerali. Poche ore dopo i rappresentati dei massimi livelli istituzionali sono spuntati in tribuna d’onore all’olimpico per assistere alla finale di coppa. Ai funerali di Roberto (a cui lo Stato ha riconosciuto un indennizzo di 5mila euro!!) c’erano però quelli che gli volevano veramente bene. I colleghi, la moglie, la figlia Alessia, i parenti, gli amici, le mamme della terra dei fuochi, studenti, associazioni e gente comune. A loro, e a noi tutti, Roberto ha lasciato un grande insegnamento. Passa il testimone a chi crede ancora nella giustizia. A chi crede che le cose possono e devono cambiare. Ognuno di noi può e deve fare le sue parte senza scendere a compromessi e chiudere gli occhi. Così, almeno, non sarà morto invano.