Avremo voluto parlare di calcio, di una grande partita e di un grande spettacolo sportivo. Purtroppo gli episodi di inciviltà, o per meglio dire di criminalità, che hanno anticipato e accompagnato la finale di Coppa Italia tra Fiorentina e Napoli prendono il sopravvento in una serata in cui, al di là del 3-1 finale che consegna il trofeo ai partenopei, è soprattutto l’immagine del calcio e dello sport italiano a risultare veramente sconfitta e, forse, definitivamente compromessa.
Fuori dal campo Scontri fuori dallo stadio tra tifosi azzurri, forze dell’ordine e forse anche qualche infiltrato romano (storicamente nemici dei campani), decine di feriti tra cui un ultrà del Napoli da “codice rosso”, l’esplosione di alcuni colpi di pistola e un quantomeno rivedibile comunicato della Questura della capitale che escludeva il collegamento tra la partita e gli episodi di violenza capitati a poca distanza dallo stadio Olimpico. E poi il caos all’interno dello stesso stadio con i tifosi del Napoli capaci di tenere in ostaggio tutta l’organizzazione della finale, ritardando il calcio di inizio addirittura di 45 minuti. E poi i lanci di fumogeni e petardi e l’invasione di campo: tutte cose che sarebbero vietate ma che alla tifoseria azzurra sono state ampiamente concesse. Compreso quando il capitano napoletano Hamsik è andato a mediare sotto il settore riservato ai suoi tifosi, i quali hanno risposto con il lancio di questi oggetti esplosivi nei confronti degli steward che scortavano il numero 17 del Napoli. Il tutto con l’ok a giocare dato da niente di meno che da Gennaro De Tommaso, detto “Genny a carogna”. È lui il capo ultrà del Napoli che ha mediato con dirigenti e forze dell’ordine prima dell’inizio della finale di Coppa Italia con la curva partenopea, inizialmente contraria a giocare, e che ha dato il suo assenso ma con l’impegno di rimanere in silenzio. Tanto per la cronaca, De Tommaso sarebbe figlio di Ciro De Tommaso, ritenuto affiliato al clan camorristico del Rione Sanità dei Misso. E, come se non bastasse, sono arrivati fischi copiosi all’esecuzione dell’Inno di Mameli e l’invasione di campo a fine partita. Ma di cosa dobbiamo parlare? Di calcio? Questo è sport? Sembra evidente che le partite rimarranno sempre in secondo piano in contesti simili. Soprattutto se chi dovrebbe vigilare su certi eventi si limita a fare il forte con i deboli e il debole con i forti. Il riferimento va al Governo e a chi ha emanato le ultime leggi in materia di sicurezza negli stadi. Ma anche alle stesse società di calcio di Serie A, spesso troppo accondiscendenti con le frange più violente del tifo. Dopo la finale di Coppa Italia, viene da pensare che le misure antiviolenza risultino comunque inadeguate o in ogni modo inefficaci. Però, finché non si puniranno in maniera esemplare anche società e squadre cui appartengono certi tipi di ultras, è chiaro che vedremo ancora questi pseudo-tifosi poter tornasene a casa tranquilli, magari anche con una Coppa Italia in più in bacheca…
Sul campo Fatta questa doverosa e lunga premessa, veniamo alla partita. Decisa sostanzialmente in un quarto d’ora in cui la doppietta di Insigne ha piegato le gambe macchinose di una Fiorentina forse bloccata anche dalla grande attesa di una finale che il popolo viola attendeva da tredici anni. Il gol di Vargas ha riaperto parzialmente i giochi ma la squadra di Montella non è poi riuscita nemmeno a sfruttare la superiorità numerica nel finale di partita per l’espulsione di Inler. Anzi, in undici contro dieci, i viola si sono divorati l’occasione del pareggio in extremis con Ilicic per poi crollare qualche istante dopo con la beffarda stoccata finale di Mertens. E, onestamente, alla Fiorentina resta solo tanto amaro in bocca. La Coppa Italia sembrava un trofeo alla portata dei viola ma il maggior cinismo del Napoli ha prevalso. Guai però adesso a fare processi precoci contro Montella e i suoi giocatori per una stagione che terminerà con uno «zeru tituli» di mourinhiana memoria. Giuseppe Rossi ha giocato gli ultimi quindici minuti della finale di Coppa Italia, Mario Gomez e Cuadrado erano in borghese, seppur per motivi diversi. La Fiorentina ha fatto una stagione senza i suoi attaccanti principali di cui uno, Pepito per l’appunto, era capocannoniere della Serie A prima dell’infortunio. Provate a togliere per 3-5 mesi Tevez e Llorente alla Juventus, oppure Balotelli al Milan, Palacio e Icardi all’Inter o anche Gervinho e Pjanic alla Roma. Sarebbero arrivate in finale come la Fiorentina? La sciarpata finale e gli applausi dei quasi 30mila tifosi viola giunti all’Olimpico possono essere una risposta più che esaustiva.