alcolismoRRAbbiamo spesso la presunzione di conoscere (di giudicare con sufficienza) i problemi altrui e, in realtà, non ne sappiano nulla. Nulla dei drammi che vi si nascondono, delle alienazioni che provocano, dello sprofondo in cui la vita viene risucchiata. E’ consigliabile, in proposito, leggere il libro di Violetta Bellocchio “Il corpo non dimentica” (Mondadori, 2014), storia autobiografica di una dipendenza da alcol (binge drinker). Tre anni – scrive l’autrice – trascorsi “in ginocchio davanti a qualcosa che non capiamo”, che esalta e umilia allo stesso tempo.
Un libro scritto così bene che ci esime dal pietismo, ma non dalla presa di coscienza. Magari interpellandoci su quella sorta di ammiccamento che abbiamo verso la letteratura dietro cui c’è il fascinoso maledettismo della musa ebbra. Una posa da intellettualoidi solitamente astemi. Le sappiamo tutte le citazioni celebri. Come quella di Hemingway e del suo singolare metodo di lavoro: “scrivo da ubriaco, correggo da sobrio”. Lunga è la serie degli scrittori che barcollano sul red carpet della grande letteratura. Joyce provava a confinare nella bottiglia il baratro dei debiti e dell’angoscia provocata da una figlia malata di mente. Ancora ristrettezze economiche per Fiztgerald, poi l’abbandono della moglie e del suo tentato suicidio, così “prima tu prendi un drink, poi il drink ne prende un altro, e infine il drink prende te”. Alcolismo e tossicodipendenza travolgono Capote che morirà di cirrosi epatica farneticando: “Sono un alcolizzato. Sono un tossicomane. Sono un omosessuale. Sono un genio”. Un delirante Poe viene soccorso in una strada di Baltimora il 3 ottobre 1849 e dopo qualche giorno la stampa ne annuncia il decesso con un indulgente eufemismo, morte per “infiammazione cerebrale”. Provava ad ammonirsi anche Jack London, ma senza grandi risultati, circa il fatto che “l’alcolismo mina l’uomo, lo rende inabile a vivere coscientemente la propria vita”. Il padre della beat generation, Jack Kerouac, sosteneva, invece, di avere “una costituzione che non regge l’alcol e ancor di meno l’idiozia e l’incoerenza”. Lui cercava la liberazione dalle convenzioni sociali con l’aiutino di benzedrina, marijuana, alcol shakerati con la religione. Ma il fegato non gradì il coktail.
Tutto ciò per dire che nell’alcolismo c’è ben poco da mitizzare. Del resto anche il temerario Ernst Jünger (si legga “Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza”, Guanda, 2006), aveva dovuto ammettere che nell’ebbrezza è come se venissero anticipate (amministrate diversamente) porzioni di tempo. Arriva però il momento che quel prestito va restituito con interessi spropositati.