Chissà come sarà stato il cielo sopra Magonza nel lontano 23 febbraio del 1455, quando Johann Gutenberg, orafo e tipografo, insieme all’incisore Peter Schöffer, concluse la stampa della cosiddetta “Bibbia a 42 linee”. Per coloro che, nei secoli a seguire, sarebbero diventati inguaribili bibliofili, non v’è dubbio che, quel giorno, su Magonza doveva splendere un gran sole. Era nato, infatti, il “libro a stampa”, finiva cioè l’ars naturaliter scribendi (quella degli amanuensi) per lasciare il posto all’ars artificialiter scribendi.

Soltanto una quarantina d’anni dopo, altro cielo ebbe poi a rilucere su Venezia, laddove Aldo Manuzio, tipografo ed editore, portò all’apice l’arte tipografica rinascimentale, raccogliendo in sé – come ha avuto modo di dire Fabio Massimo Bertolo – le doti del grande umanista, dell’abile editore, dell’attento grafico e dello straordinario promotore culturale.

Da allora in poi, e attraverso le diverse fasi delle trasformazioni sociali, il libro sarebbe gradualmente diventato industria editoriale, fino a giungere ad una sorta di vera e propria democratizzazione dell’oggetto-libro che prende il via dalla rivoluzione industriale in Inghilterra, qualche decennio dopo in Francia e verso la metà dell’Ottocento in Italia, ad opera, nel caso italiano, di grosse case editrici, prevalentemente milanesi, torinesi e fiorentine.

Sia dunque lode a coloro che, a vario titolo, da oltre mezzo millennio, hanno fatto sì che il libro continuasse ad esistere come veicolo di alfabetizzazione, di cultura, di evoluzione sociale. E, non di meno, come “oggetto”: bello nella sua forma tanto essenziale, misterioso finché non se ne percorra tutta la sua sfrigolante sequenza di carta, destinato alla molteplicità ma così personale non appena il singolo possa farlo proprio.

I libri che ciascuno conserva in casa, sono, insieme alla casa stessa, il contenitore della memoria personale, nella misura in cui con quelle pagine la nostra vita si è intrecciata, informata, emozionata. Ed è per loro tramite che la memoria di noi va così a inscriversi nella memoria di tutti, poiché – lo sostiene anche Umberto Eco – una biblioteca è “il luogo della memoria universale, dove un giorno, nel momento fatale, potrai trovare quello che altri hanno letto prima di te”. Stampiamo dunque libri: per non dimenticare e per non essere dimenticati.