Nelle notti prima degli esami, loro non possono mancare: sono I promessi sposi, con il Manzoni che rizza le scene secentesche dell’occupazione spagnola in Italia per ammiccare, però, al dominio ottocentesco dei crucchi nelle regioni italiane del nord e quindi ai giusti sussulti risorgimentali del momento. Perché – ed è questo l’argomento che ci interessa – quello che è ritenuto il più importante romanzo della nostra letteratura è un cosiddetto romanzo storico. Genere di indubbio fascino di cui fu iniziatore Walter Scott, allorché (1814) lo scrittore scozzese vide bene di mettersi a raccontare in Ivanhoe le vicende che, poco dopo il Mille, avevano visto le antiche popolazioni dei Sassoni contro quelle dei Normanni, da poco conquistatori dell’Inghilterra. Peraltro qualcuno non ha mancato di far notare certi “prestiti” che il Manzoni potrebbe aver contratto proprio da Scott, come la vecchia che nel castello dell’Innominato si prende cura di Lucia (quasi controfigura dell’anziana scottiana che fa compagnia in cella a Rebecca) o, in termini più generali, il tema dei “giovani perseguitati” posto nelle pagine di Ivanhoe e che nel Manzoni si impersona in Renzo, Lucia, Gertrude.
Bella invenzione fu dunque il romanzo storico. Un modo, cioè, per raccontare i grandi fatti attraverso le vicende di singoli non obbligatoriamente esistiti, non necessariamente eroi, ma comunque rappresentazione dei diversi frangenti della Storia e dei suoi accadimenti.
L’Ottocento italiano registrò in proposito una significativa produzione. Da Tommaso Grossi con il suo Marco Visconti, all’Ettore Fieramosca ossia la disfida di Barletta di Massimo d’Azeglio, passando attraverso L’assedio di Firenze di Domenico Guerrazzi o la Margherita Pusterla di Cesare Cantù. Vicende del passato, dunque, quasi sempre prese a pretesto per sensibilizzare una coscienza morale e politica sul tempo presente. Anche la prolifica editoria novecentesca testimonia quanto questo genere narrativo funzioni ancora. Fra le decine e decine di titoli ci piace citare Baudolino di Umberto Eco, perché proprio in questo libro è forse spiegata la ragione del successo del romanzo storico. C’è una pagina dove Niceta, cronachista di Baudolino, domanda a quest’ultimo: “Sì, ma cosa racconti?” ed egli: “Signor Niceta, il problema della mia vita è che ho sempre confuso quello che vedevo e quello che desideravo vedere”. Ecco dunque il segreto del romanzo storico: una fantasiosa menzogna (menzogna?) per svelare il vero delle storie individuali e della Storia tout court.