Vasta è la letteratura che, lungo il tempo, ha raccontato il Palio di Siena; non esclusa la poesia, che per sua natura è l’arte dell’indicibile. Cominciò nel 1783 Vittorio Alfieri componendo rime che bene coglievano la rattrappita tensione della Mossa (“Eccoli al teso canape schierati…sol l’un l’altro emulando in vista irati”) finché – scrive l’astigiano – un suono di tromba “al sospirato aringo apre lor via” e “de’ sonanti piedi il ciel rimbomba”.
Alcuni lampi senesi irromperanno persino nei vertiginosi e inafferabili Cantos di Ezra Pound (“e laggiù hanno fatto il loro Palio”), mentre l’approccio poetico di Corrado Govoni (1950) è tutto giocato in una metafora che fa del Palio e dell’esercizio poetico una medesima corsa sfrenata: “Ma tu corri lo stesso, o maledetta, / sputa l’anima e corri, o poesia, / il traguardo è già in vista: / corri anche solo con la spennacchiera / della mia tradita primavera!”.
Certo è che il testo poetico più “alto” che nella storia della letteratura sia stato dedicato al Palio di Siena è quello di Eugenio Montale, compreso nella raccolta poetica Le Occasioni e datato 1939. Si tratta di un componimento estremamente complesso, in cui ogni immagine o suono della Piazza (“purpurea buca”, “tumulto d’anime”, “sommossa vastità”) rimandano a più universali e tormentati destini. E, quindi, a interrogativi di cui “tu (cioè Clizia, la montaliana donna-angelo) ritieni tra le dita il sigillo imperioso ch’io credevo smarrito”. Così il Palio (“giro di trottola”) diventa l’inesorabile ciclicità della vita, e la donna amata un traguardo.
Non meno drammatici risultano i versi di Mario Luzi dove l’abbacinante policromia del Campo è per il poeta metafora di molteplici accecamenti: “Finché nel furore policromo / del bruciante mulinello / mi guarda Siena / da dentro la sua guerra… percossa dai suoi tamburi / trafitta dai suoi vessilli ”.
Alla storia letteraria più recente appartengono, poi, i versi di Alda Merini che accompagnarono il drappellone dipinto da Ugo Nespolo per il Palio dell’Assunta 2007. Un testo che ha l’impronta visionaria tipica della produzione poetica della Merini: “Udite, udite / stanche contrade / messaggeri d’amore / e di guerra che correte / nel nome della Vergine / in bocca ai leoni. […] Bevete il vino / e acqua per incoraggiarvi / e sperate che poi vi / abbandoni per la gloria della vita”.
Ecco: la gloria della vita e il suo contrario. Questi sono, infatti, i sentimenti che sottostanno al gioco del Palio; gli stessi che, da sempre, costituiscono il rovello della poesia.