Nell’epoca odierna dei revisionismi finanche “sentimentali”, pure i miti letterari legati ai luoghi risentono di qualche crisi. Pensate all’aura che una volta avvolgeva Firenze e guardatela oggi, ogni mattina costretta a risvegliarsi nel fulgore della sua memoria e subito offesa dagli sfiatatoi delle pizzerie, percorsa da turisti arrancanti, vittime volontarie di viaggi organizzati, che guardano (quando guardano) senza “vedere” niente.
Davvero altri tempi da quelli in cui (1908) Edward Morgan Forster poteva scrivere in Camera con vista: “E’ piacevole svegliarsi a Firenze… sporgersi fuori nella luce del sole con le belle colline, gli alberi, le facciate marmoree delle chiese, e più sotto l’Arno, gorgogliante contro gli argini”. Era indubbiamente una visione alimentata ad uso di una borghesia turistica, disposta ad estasiarsi magari anche di fronte a qualche falso architettonico, pur di mantenere l’alone letterario (in verità eccessivo) entro il quale la città viveva come sospesa. Un mito che, pur con qualche sussulto, ha resistito per buona parte del Novecento, se si considera che persino Lawrence Ferlinghetti, uno dei massimi interpreti della beat generation, trovò il modo di scrivere (Scene italiane, 1969) che “Arrivando a Firenze da Ovest / guidando in autostrada fra / le macchine filanti / e nuovi condomini al cielo e case di vetro / verso la vecchia città / verso il vecchio Arno / con i suoi vecchi ponti / noi / molto lentamente / ri / co / stru / iamo / le nostre vecchie vecchie / illusioni”.
E’ dunque inevitabile non chiedersi cosa attualmente resti di quell’alone, anche perché – come osservava Mario Luzi verso la metà degli anni Ottanta – Firenze continua a vendere la sua immagine, mette a profitto le sue trascorse glorie, “si pasce delle sue viscere…, fornisce vili o preziosi prodotti per il proprio culto”.
E forse proprio Firenze potrebbe rappresentare un efficace esempio per comprendere come di certi miti estetizzanti (oserei dire mistici) se ne sia perduto una certa immagine e interpretazione letteraria. E’ andata infatti confondendosi una loro “riconoscibilità”, una sorta di sentimento dei luoghi che viveva della proiezione simbolica di architetture, opere d’arte, memoria storica. Siamo dunque di fronte a una leggenda interrotta? O forse dovrà solo ritrovarsi il filo di un racconto dentro il labirinto delle nuove geometrie interiori, nei linguaggi, nelle allusioni attraverso cui i luoghi del mondo vanno riconfigurandosi: tra i retaggi (talvolta le inutili nostalgie) del passato e i comprensibili timori per il futuro.