All’inizio fu la klepsýdra, che in greco significa letteralmente “ruba-acqua”. Un contenitore di pietra a forma conica che attraverso un foro faceva passare acqua e dove una scalettatura di segni stava a indicare il trascorrere delle ore. Certo è che il pur rudimentale strumento rendeva efficacemente l’idea che il tempo non “passa” ma fluisce. E già questa distinzione allude a quanto sia difficile definire il tempo in termini filosofici. Tant’è che anche Agostino d’Ippona rinunciò all’impresa, affermando di sapere bene cosa fosse il tempo, ma di essere assolutamente incapace di spiegarlo.
Forse, proprio per questa difficoltà a definire ciò che racchiude in sé l’attimo e l’eternità, l’uomo si è inventato sistemi di misurabilità del tempo che così diano l’illusione di dominarlo o, tanto meno, di organizzarlo. Da qui l’idea convenzionale della cronologia, quasi per rassicurarci, ogni qualvolta la nostra psiche possa trovarsi sull’angosciante precipizio del “nulla”, che noi esistiamo in questo presente, frutto di un passato e ragione di uno speranzoso futuro.
Ecco, persino il pappagallesco augurio che ci siamo scambiati solo qualche giorno fa (“buona fine e miglior principio”) rivela, nel profondo, il comprensibile tremore rispetto all’incognita del tempo che vorremmo non solo misurabile sui calendari, ma “commisurato” alle nostre esistenze. Ad ogni fine d’anno ci troviamo nei panni del leopardiano passeggere cui un venditore di almanacchi offre la sua merce (“Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore, almanacchi?) e al quale viene chiesta soprattutto una risposta certa sulla felicità dei giorni futuri. Però, in proposito, il venditore di almanacchi non prende troppi impegni. Il dialogo tra i due si incupisce nel ripensare al tempo trascorso, contrassegnato più che altro da vicende dolorose, finché alla modica spesa di 30 soldi (tanto costava l’almanacco più bello) il passeggere compra anche un po’ di speranza: “Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?”.
Se tale è la rendita ricavabile da un modesto investimento di 30 soldi ci possiamo stare. Anche perché, in quella speranza, pare risiedere l’unica possibilità non certo di dominare il tempo, ma di esserne in qualche modo partecipi, sincroni al suo fluire. Così che una scheggia dell’infinito tempo vada a coincidere con il “nostro” tempo.