A volte il linguaggio può tradire anche le buone intenzioni. Capita, infatti, di usare compiaciute espressioni attraverso cui traspaiono mentalità, pregiudizi, ambiguità che vanno come a smentire quanto, invece, si intenderebbe far passare di noi per procacciarci le moine dell’altrui approvazione. La lingua usurata della quotidianità ne offre un ampio repertorio. Pensiamo a quello zuccheroso “la mia dolce metà”, per alludere ai nostri partner in amore senza i quali – a detta di ovvietà – ci mancherebbe un buon cinquanta per cento ad essere “interi”. Sù via, ma quale “metà”! Nel rapporto uomo/donna (solitamente a quello facciamo riferimento) non si procede certo per “assemblaggio”, non ci si “acquisisce” al fine di guadagnare una completezza, poiché l’uno e l’altra sono in sé persone differenti e già compiute. Dunque, al di là della smanceria, parlare di “dolce metà” pare rivelare più un’idea di possesso che di reciproca appartenenza, quale è da ritenersi un tenero e maturo rapporto di coppia. L’amore di un uomo e di una donna non è affatto una somma, anche se – bizzarra algebra del sentimento amoroso – quando uno dei due viene a mancare, si avverte, eccome, il computo della sottrazione.
Una sponda letteraria a questi pensieri potrebbe trovarsi nei dolenti versi di Montale (compresi nella raccolta Satura) che cominciano dicendo: “Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale / e ora che non ci sei è il vuoto”. Il poeta ha perduto la moglie e scrive, sgomento: “Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio”. Drusilla Tanzi (nota con il soprannome di Mosca), non era stata per lui l’altra “metà”, ma la consustanziale presenza al suo esistere. Tanto da dichiarare che per il proprio restante viaggio “[…] più mi occorrono / le coincidenze, le prenotazioni, / le trappole, gli scorni di chi crede / che la realtà sia quella che si vede”. Negli ultimi due enunciati che formano la seconda strofa, Montale confida infine alla moglie (ma soprattutto a se stesso) per quale motivo scendessero le scale tenendosi a braccetto. Non per il timore che essa potesse cadere a causa della sua forte miopia, poiché tra i due, nonostante l’opacità degli occhi, era lei a scorgere la verità: “Con te le ho scese perché sapevo che di noi due / le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, / erano le tue”.
Toccante dichiarazione d’amore che riconduce il rapporto uomo/donna ad una dimensione di paritaria reciprocità. Versi che – ben inteso, da vivi – vorremmo a dedica dei nostri affetti. Magari nel giorno festoso delle mimose.