Un gruppo di studenti delle scuole secondarie di Torino ha lavorato per circa tre mesi all’individuazione di 15 parole da loro ritenute rappresentative per definire il presente e il futuro dell’Italia. Di tale piccolo manuale di sopravvivenza (ma anche di speranza) gli stessi ragazzi ne stanno discutendo in questi giorni al Salone del Libro con scrittori, artisti, intellettuali. Le parole in questione sono: futuro, impedimento, fiducia, pantano, me, poverini, svolta, rivoluzione, divertimento, resistenza, relativo, denaro, inquietudine, femminile, bellezza. Si noterà che alcune di esse paiono risuonare con la smorfia dello sconforto, altre attingono al sentimento dell’attendibilità, qualcuna più decisa guizza in direzione del ‘possibile’. E’ un sillabario dell’esistere che non può lasciare indifferenti, poiché compilato da coloro che giustamente esigono il respiro lungo e vitale dei domani. Parole i cui significati possono talvolta risultare opposti, magari contraddittori o intercambiabili l’uno con l’altro, consequenziali, alternativi, reciprocamente legittimanti, fino a divenire sinonimi non tanto sul piano lessicale ma fattuale. Ecco allora come per quei giovani il me (la mia vita, la mia realizzazione) debba accostarsi a tutti gli altri termini, cominciando proprio con la rimozione di quanto costituisca impedimento alla legittima affermazione di sé. Una faccenda innanzitutto di fiducia (in se stessi, ma anche negli altri). Impresa non facile, considerato il pantano in cui idee e ideali delle precedenti generazioni hanno (per opportunismo? per inerzia? per negligenza? per esaurimento delle scorte?) altezzosamente naufragato. Tanto che i poverini di oggi sono ridotti al cinismo per non piangersi addosso e perché – felice chi visse al tempo delle certezze! – tutto è diventato relativo. Senza denaro ma con il mito di esso. Quasi costretti al divertimento per arginare l’inquietudine. Frenati persino verso la bellezza, poiché non sempre è un lusso da potersi permettere (e in tal caso non è solo problema di soldi, ma pure di serenità). Così che noi (cioè loro) siamo qui a proseguire incompiute declinazioni di genere (femminile/maschile), ad indossare ‘parole-vintage’ come resistenza, svolta, rivoluzione. Perché, porca miseria, il futuro è un diritto, una ragionevole pretesa.
Con la mappa semantica azzardata dai ragazzi torinesi si dovrà pur navigare nel pelago dell’attuale contingenza e speriamo (soprattutto per loro) verso rassicuranti approdi. Parole, dunque, ma come semi di futuro.