Anche i libri hanno un sapore, e non solo quelli che trattano di cibo. Esistono d’altra parte i gusti letterari e pure in tal caso si può parlare di palati fini. Così come abbiamo persone avide di lettura, romanzi indigeribili e pagine gustosissime; e c’è chi, masticando piuttosto bene il francese, legge Baudelaire in lingua originale. Oppure, per nostro inconsolabile smacco, si possono avere figli che magari stanno molto sui libri ma non assimilano. Ecco, dunque, che le medesime parole vanno a definire il nutrimento del corpo e della mente, quasi a conferma della celebre battuta con cui diverte richiamare i tre perenni interrogativi dell’essere umano: da dove veniamo, dove andiamo, a che ora mangiamo. Figuriamoci poi se i libri presi in pasto discettano di filosofia, la quale, notoriamente, “ipse alimenta sibi”, cioè trae da se stessa il proprio nutrimento, tanto che in antico era raffigurata come un’orsa nell’atto di spolparsi le zampe.
Se volessimo continuare in questo gioco lessicale (ma non soltanto), va aggiunto che ingurgitare smodatamente libri non è nutrimento, ma solo una forma di ingordigia che poi la bocca restituisce in malo modo, ovvero in chiacchiere, le quali non sempre significano cultura. A tavola come in biblioteca esiste dunque un bon ton. La questione si pone per ragioni salutistiche, ma non di meno “estetiche”. Anche se su questo rapporto tra golosità, necessità, appetiti, senso della misura, la storia dell’umanità ha dovuto registrare alle sue origini un episodio assai inquietante, poiché mai ci fu pasto più frugale di quella maledetta mela che (forse questo fu il problema) sarebbe stata fin troppo gustosa (e nutritiva) poiché in grado di fare assaporare tutta intera “la conoscenza”. Del resto gli unici due umani del creato non sapevano di certo a cosa potesse condurre una errata alimentazione. Ma fu davvero un… peccato che tale morso venisse inibito dall’Onnipotente: la morale venne così confusa con la dietetica, creando da allora in poi sottigliezze come quelle che arrivò a formulare Tommaso d’Aquino, cioè a sceverare il legittimo “appetito naturale” dal peccaminoso “appetito sensitivo”. Ingegnosi e cavillosi distinguo che nell’epoca nostra dei relativismi (sorta di diete del pensiero e dell’etica) e di un mondo multiculturale (tale è anche la cucina), risultano incomprensibili. E nell’ambiguità di un linguaggio che dalla bocca fa transitare indifferentemente vivande e discorsi, qualcuno può sempre dire: scusa ma non ho capito…, ti stai mangiando tutte le parole.