Lei si chiamava Elisabeth Barrett, come la poetessa di cui aveva quasi ricalcato la vita. Anch’ella finita a Firenze per amore, sposando, però, un italiano che era stato giovane, ricco, e – in tal caso per tutta la vita – intelligente e ironico. Il conte Lorenzo Niccolucci Del Rio, che con quel titolo nobiliare ormai stinto dai dissesti finanziari di famiglia, quando si ruppe una spalla cadendo da cavallo, ai medici che premurosi gli chiedevano “conte, cos’è successo?”, aveva risposto: “conte … decaduto”. Fu un non-fascista della prima ora e un convinto antifascista della seconda. Pianse lacrime di sdegno e rabbia per il suo amico David Orefice, insigne biologo, che a causa delle leggi razziali dovette fuggire in America. Una bella coppia, si diceva di loro due. A Elisabeth piaceva passeggiare, spesso fino al Cimitero degli Inglesi per portare un fiore sulla tomba della sua omonima e della quale mandava a memoria i versi. Un gesto romantico che si interruppe solo con l’estate del 1940, allorché con il putiferio della guerra, lei e il marito videro bene di lasciare Firenze per trasferirsi nella casa di campagna. Da lì a qualche mese la sorella Fanny sarebbe morta nel devastante bombardamento di Coventry. Il fratello Henry entrerà a far parte del gruppo di crittografi che a Bletchley decodificavano i messaggi di Enigma. La vita di campagna aveva cadenze larghe, piacevolmente monotone, se non fosse stato per le notizie che si ascoltavano alla radio e che i due commentavano, l’una con l’orgoglio di avere il proprio paese dalla parte giusta, l’altro avvilito per un Italia succube a i’bbischero (così Lorenzo chiamò sempre Mussolini). Tre anni erano incredibilmente passati dentro un tempo sospeso, estraniante, che dava ai fatti del mondo distanza, assurdità, talvolta compassione. Finché la sera dell’8 settembre 1943, anche in quelle stanze risuonò la voce di Badoglio annunciante la capitolazione. Lorenzo scese in cantina a prendere un vino d’annata. Cenarono con redivivo brio e con la fregola di due ragazzi che non vedevano l’ora di finire a letto. Nella arrendevolezza del dopo amore, Lorenzo sfiorò una guancia di Elisabeth sibilandole in un orecchio: “Dio stramaledica le inglesi”. “Conte – replicò Elisabeth – si dia un contegno e non si faccia trovare in queste condizioni dalle truppe alleate”. Di buon mattino un raffazzonato mazzo di fiori di campo fu posto sulla toletta di my lady. Era accompagnato da alcuni versi di Elisabeth Barrett Browning: “Quando forti e diritte le nostre anime si stringono in silenzio … quale amaro torto può farci la terra per impedirci d’essere a lungo felici?”.