Sera del 24 dicembre. La mezzanotte era abbondantemente passata. Dentro le case il sonno aveva ormai giustiziato la frenesia dei bambini, riversi su divani e tappeti come in una strage degli innocenti allestita all’Ikea. Gli adulti stavano prosciugando l’aria di festa a suon di sbadigli. Resisteva tuttavia un’inquietudine, prima taciuta, poi sempre più manifesta, perché giunti a quell’ora nessuno e da alcuna parte aveva visto Babbo Natale. Scrutato dalle terrazze, chiesto ai metronotte, compulsato il web che, figuriamoci, rende noti i fatti prima ancora che accadano. Nulla. Cominciava a diffondersi nervosismo, ansia, delusione, rabbia. Insomma, tutti quei sentimenti che disturbano l’egoismo umano ogni qualvolta circostanze esterne gli sciupino la festa. Persino le luci degli addobbi rimandavano ombre torve. Aghi d’abete cadevano precoci, quasi a prefigurare la mestizia che con l’epifania tutte le feste porta via. Ad accorgersi per prima che certi balenii erano altra cosa dalle luminarie natalizie fu la donnina abitante al pianoterra del civico 147 di via Dalmazia, che appostata dietro la persiana del tinello non aspettava Babbo Natale, ma che, come ogni notte, voleva vedere la vicina scendere dalla macchina del ganzo. Le volanti della Polizia correvano verso Nord a sirene spente. E di lì a poco la notizia guizzò altrettanto veloce. Sulla provinciale della Quercia alcuni malviventi, con un furgone messo di traverso, avevano bloccato e rapinato Babbo Natale. Tristissima la scena che si presentò alle forze dell’ordine. La slitta vuota e rovesciata sulla neve, le renne strette l’una all’altra in uno scampanellio disordinato e lugubre. Del vecchio, però, nessuna traccia. Ucciso e nascosto il corpo nel bosco circostante? Sequestrato? Bella gatta da pelare per il Procuratore che già aveva prenotato il Capodanno in montagna. “Confido in lei e nella sua pervicacia” disse rivolgendosi al commissario di polizia. Il quale non mancò per lo meno di buon senso, organizzando subito un sopralluogo a casa della vittima. La luce di cucina era accesa. Babbo Natale, completamente fatto di sambuca, ronfava sulla poltrona con il televisore a tutto volume. Sopra il tavolo una lettera scritta di suo pugno e indirizzata a sé medesimo. Da Babbo Natale a Babbo Natale. Una lettera che svelava come la rapina fosse stata una ingenua messinscena da lui architettata non trovando il coraggio di ammettere la propria impossibilità a soddisfare le tante richieste che gli si facevano. Costretto a dare le dimissioni da se stesso e da una favola, supplicava perdono. Mai avrebbe pensato che non dover credere più a Babbo Natale comportasse un dolore così disperante.