cave dueLe cave di Carrara, non tutte è ovvio, resteranno private: così ha deciso la Corte Costituzionale, accogliendo il ricorso del Governo che, attraverso l’Avvocatura dello Stato, l’anno scorso impugnò la legge regionale toscana 35/2015, nella parte che riguarda la regolamentazione dei così detti beni estimati. A confermare la notizia è il sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri, quando la sentenza ancora non è visibile sul sito della Consulta, ma gira di bocca in bocca tra i corridoi della Regione e del Comune di Carrara.  «Confermo l’uscita della sentenza – dice Ferri – ; è stato accolto il ricorso del Governo, il punto riguardante i beni estimati». E così svanisce il sogno del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi di rendere pubbliche tutte le cave del bacino marmifero di Carrara.

Il ricorso L’oggetto del ricorso alla Corte Costituzionale era stato il comma 2 dell’articolo 32 della legge 35 del 2015, quella parte cioè riguardante i beni estimati, cave di marmo che sono di proprietà privata dal 1751, e che la Regione avrebbe voluto rendere pubbliche,  per poi mettere a gara europea le concessioni per l’escavazione. La Corte Costituzionale, però, ha stabilito che la Regione non ha titolo per legiferare in materia di beni privati e di fatto così impedisce al Comune e dunque alla collettività di guadagnare dall’escavazione di un bene (le montagne) che dovrebbe essere considerato patrimonio di tutti. Invece a Carrara accade che, applicando un regolamento del XVIII secolo, su 81 cave attive nei suoi bacini marmiferi, solo 29 sono completamente pubbliche, otto sono in regime di bene estimato, cioè completamente private, e ben 44 hanno quote variabili, misto pubbliche e private.

L’editto del 1751 La storia dei beni estimati è curiosa: fu Maria Teresa Cybo-Malaspina, sovrana del Ducato di Carrara, ad emanare nel 1751 un editto per regolamentare l’attività delle cave, con il quale  istituì una sorta di concessione perpetua di escavazione ad un gruppo di nobili che avevano all’epoca una cava registrata da almeno 20 anni. Tutti gli altri avrebbero dovuto abbandonare e restituire le cave. Da anni si discute su quanto sia ancora legittimo un regolamento del ‘700, con gli imprenditori che hanno ereditato quelle cave e che rivendicano la validità di quell’editto. Almeno oggi sappiamo che, comunque vada, non è la Regione a poter decidere sulla sorte dei beni estimati, che rimarranno ancora a lungo “patrimonio indisponibile comunale”, secondo quanto affermato anche dal Regio decreto n.1443 del 1927, che seguì di un secolo e mezzo l’editto.