close up of conference meeting microphones and businessman

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Quando a sinistra non si sapeva comunicare, molti pensavano che dire le cose in modo complicato le rendesse più importanti. Altri non si ponevano il problema, guardando solo alla sostanza, come ci si poteva permettere in epoche in cui non c’erano i confronti all’americana di Mentana, o i salottini di Vespa. Oltretutto i cittadini mediamente si fidavano anche se non capivano proprio tutto, e il meccanismo più o meno trovava un suo equilibrio finale. Poi ad un certo punto invece si è cominciata a sentire l’esigenza di imparare a comunicare.

Certo, era cosa buona e giusta, perché d’altronde in un mondo che sarebbe a breve giunto a parlare per tweet, farlo ancora per tomi risultava effettivamente un po’ eccessivo. A dire il vero quel bisogno di comunicazione lo abbiamo avvertito dentro le ossa soprattutto dal giorno in cui ci è arrivato addosso, come un treno, il proprietario di metà delle televisioni nazionali che, parlando agli italiani come fossero tutti alla scuola dell’obbligo, e sdoganando tutti i peggiori propositi che essi in cuor loro covavano, ha dominato la scena politica. La tranvata deve essere stata piuttosto forte se qualcuno pensò che la soluzione fosse far girare un risotto a D’Alema in tv, per comunicare simpatia. Roba che nemmeno con una seduta di ipnosi di massa riusciresti a fare.

Oggi finalmente, si dice, la sinistra ha davvero imparato a comunicare. Solo che non ci siamo limitati a cambiare il modo di dire le cose, abbiamo proprio cambiato le cose da dire. Invece che attrezzarci per dire le cose giuste con parole comprensibili ai più, abbiamo cominciato a dire sempre e solo le cose che i più vogliono sentirsi dire, giuste o meno che siano. Per poi attribuire i meriti del successo ottenuto al fatto che saremmo diventati bravi a comunicare, invece che alla facilità del contenuto comunicato.

Facile infatti dire ai cittadini che bisogna mandare a casa i politici e cancellare poltrone. Puoi dirlo anche in aramaico antico, balbettando, e ti faranno comunque la ola. Prova però a spiegargli che se riduci il numero dei politici poi ci saranno meno persone a rappresentarti e abbassi il livello di partecipazione alla vita democratica.

Più semplice introdurli ai principi della fisica quantistica. Facile comunicare che chiudi Equitalia, come fosse un covo di licantropi in un mondo fatto solo di lune piene. Ma tu prova invece a spiegare ai cittadini che è giusto pagare le tasse, e che se non le paghi qualcuno dovrà pur venire a cercarti. Vedrai che fine fanno le tue coloratissime slides.

Agevole dipingere le sovrintendenze come un sinedrio in cui anziani sacerdoti decidono sulle sorti della tua villetta a schiera. Ma tu vedi se riesci a comunicare al cittadino indignato perché gli hanno vietato di dipingere rosa a pois le persiane di casa, che esiste un dovere di conservazione degli aspetti architettonici del paesaggio urbano. Ti accusa di tarpare le ali alla sua creatività con astrusi sofismi.

Ancor prima che a comunicare, abbiamo imparato, per accaparrare voti, a lisciare il gatto per il verso del pelo. Abbiamo imparato a compiacere, ad assecondare e solleticare il qualunquismo, i luoghi comuni, la rabbia contro la politica, le false credenze, tutto ciò che alla bisogna può tornare utile. Perché quando fai questo tutti ti stanno a sentire, annuiscono, e poi ti applaudono, ma a prescindere da come comunichi. La sfida (tanto per usare termini che ci sono cari oggi che sappiamo comunicare) era riuscire a dire le nostre cose con efficacia, arrivando alla testa e al cuore degli elettori. Abbiamo invece scelto di dire le cose degli altri, puntando alla pancia.

Facile fare i guru della comunicazione così.