Monte sempre Monte fortissimamente Monte. A Siena non c’è niente da fare, il discorso cade sempre lì. E se un tempo girava la storiella che i senesi erano dipendenti o pensionati del Monte o in graduatoria per entrarci, oggi che la situazione non è più rosea non accenna a diminuire l’interesse per il destino della banca più antica d’Italia che è nata in queste lastre e che qui viene chiamata affettuosamente Babbo.
La città è appena uscita da un anno di commissariamento, la Provincia sta per chiudere i battenti, la politica si lecca le ferite di un’emorragia di voti mai conosciuta prima soprattutto a sinistra, la crisi morde ormai ogni settore economico ma niente, a Siena si parla sempre e soltanto di Monte dei Paschi chissà per quanto ancora di Siena. E anche il neo sindaco appena insediato, nel presentare la “sua” Giunta, non può fare a meno di parlarne.
A far discutere in queste settimane post elettorali è il clima rovente che si è creato per un ingorgo di appuntamenti che vedranno protagonisti tanti soggetti. E nessuno vuole su di sé la responsabilità di aver determinato l’allontanamento della banca dalla città.
Cominciamo con ordine. In primo piano c’è la Fondazione Mps, la cui Deputazione (Generale e Amministratrice) è in scadenza. Nominata nel 2009 rimarrà in carica fino al 3 agosto prossimo. E il suo presidente, Gabriello Mancini, dal 2001 al 2006 vice in Palazzo Sansedoni di Giuseppe Mussari, e presidente dal 2006 dichiara che farà fino all’ultimo il suo dovere. Già, ma quale?
Ha davanti a sé ancora una quarantina di giorni di lavoro e due scadenze: approvare lo Statuto con tutti i suoi corollari (oggi pomeriggio è convocata una Deputazione per definire alcuni adempimenti per le future nomine degli enti nominanti) e partecipare all’assemblea della banca convocata per il 18 luglio. Sarà quello il suo ultimo atto pubblico. Poi è previsto il ritorno nella “sua” San Gimignano. E al di là dell’acqua sul fuoco che ha provato a buttare nei giorni scorsi con un incontro improvvisato con alcuni giornalisti sembra chiaro che voterà quel che gli chiede di votare il presidente della banca Alessandro Profumo. La modifica del limite del 4% al diritto di voto dei soci privati. In pratica la quasi certa condanna a vita per la Fondazione stessa.
Già, perché è evidente che il lavoro di questo anno in Rocca Salimbeni di Profumo è stato tutto dedicato ad abbattere lacci e lacciuoli per l’ingresso di nuovo soci (o cavalieri bianchi) nella compagine sociale. Per questo si è dedicato con l’amministratore delegato, Fabrizio Viola, a risanare i conti (saranno ora a posto o ci saranno altri contratti in altri armadi?), a tagliare i costi (comprese le sponsorizzazioni in città), a ridurre il personale amministrativo e dirigenziale (è di dieci giorni fa il licenziamento improvviso di un uomo assai vicino all’attuale sindaco, forse un segnale al nuovo inquilino di Palazzo Pubblico? mentre si parla di un taglio di 1.100 dipendenti attraverso il Fondo di solidarietà leggi), ad esternalizzare con una gara internazionale il servizio ora svolto dai mille dipendenti del consorzio operativo di viale Ricasoli. In pratica sta facendo “pulito”, come si dice a Siena quando si spazza la piazza prima dell’ingresso dei cavalli dall’Entrone.
Pare che si sia anche molto mosso in giro per il mondo per proporre il potenziale investimento di buone quote del capitale sociale a investitori interessati all’Italia. E, pare, di recente una delegazione che parlava russo sia stata ospitata con tutti gli onori negli uffici di piazza Salimbeni. Dalla sua, Profumo poteva sbandierare la possibilità di aumento del capitale di 1 miliardo (opzione votata nell’autunno scorso dai soci con il voto favorevole dello stesso Mancini) se non addirittura due, come ventilato da alcuni ambienti finanziari (leggi) Aumenti che evidentemente la Fondazione non può sostenere, tutta tesa com’è a non portare i libri in Tribunale per via dei debiti accumulati e dei flussi che dalla banca non arrivano più. E che quindi la vedranno ridurre drasticamente la sua partecipazione nella compagine societaria.
E, tuttavia, in questo strano ingorgo di scadenze volute nessuno domanda a Profumo e Viola l’unica cosa che val la pena domandare: ma il miglioramento e la redditività non è dato anche da nuovi prodotti e dal conquistare quote di mercato ai concorrenti? E in questi mesi cosa è stato fatto? Se togliamo l’ultima trovata del “Se ci porti un amico in banca ti regaliamo il caffè” pare molto poco. Così come molto poco si è mossa la Banca sul fronte del valore azionario, stabile ormai da settimane (e nemmeno l’annuncio della settimana scorsa sul voto del Cda all’abbattimento del 4% da portare in assemblea ha scosso la Borsa).
Ecco, forse Gabriello Mancini dovrebbe domandare questo (e forse altro) ai suoi interlocutori, ai suoi controllati prima di aderire, quasi acriticamente, alla proposta di revisione del 4%. La Banca, non ha forse bisogno di essere ricostruita nel suo impianto complessivo? Non occorrono forse interventi di medio/lungo termine per farla tornare ad essere in primo luogo una banca al servizio di famiglie ed imprese?
Sono ormai lontani i tempi quando Mancini, in piena notte, sgattaiolava in silenzio per via Banchi di sotto pur di non votare Profumo alla presidenza (reo di aver ricevuto un avviso di garanzia, oggi trasformato in rinvio a giudizio leggi). Sono ormai lontani i tempi di quando l’allora dimissionario sindaco Franco Ceccuzzi poteva dichiarare «Lascio il Comune sapendo di aver lasciato la banca in ottime mani».
Oggi il neo sindaco, Bruno Valentini, sta facendo di tutto per dire fermatevi, ragioniamo, mentre manda a dire alla Fondazione che la «sua autorevolezza è minima». E trascina con sé alcuni deputati della Fondazione Generale e anche Amministratrice, e forse alcuni consiglieri di amministrazione della Banca. Ma qualcuno di loro vuole, sempre vuole, fortissimamente vuole vincere. Anzi, stravincere. E lo fa a dispetto di una storia che è partita da Siena. E forse da Siena dovrebbe ripartire.
Gabriello Mancini, che è cattolico serio e praticante e conosce l’istituto della penitenza e del perdono, sa che non potrà dire un’altra volta «abbiamo sbagliato tutti». Anche perché nel 2011 votò l’aumento di capitale per restare sopra il 50% su richiesta di tutti ma proprio di tutti i soggetti (Comune, Provincia ecc. ecc.). Questa volta sembra rimasto solo davanti all'ingorgo.
Ah, s'io fosse fuoco.