È scomparso questa notte Roberto Ricci strappato alla vita da una breve quanto dolorosa malattia. Sin da citto era predestinato da quei pochi versi di Edgard Lee Masters, messi poi in musica da Fabrizio De André: «E se la gente scopre che sai suonare / ebbene, suonare ti tocca per tutta la vita».
E questo Roberto, il nostro suonatore Jones, ha fatto. Ha suonato e cantato, magistralmente, per tutta la sua vita. Allietando e facendo divertire le nostre di vite. Generazioni di senesi hanno cantato e ballato con lui in serate strappate alla noia e trasformate in notti uniche se a salire sul palco, qualunque palco, era lui con la sua carica di adrenalina, la sua voce che nel tempo era diventata sempre più rauca e con quelle dita lunghe che finivano sempre in qualche modo sopra le corde di una chitarra.
Roberto era molto di più di quello che sembrava se lo incontravi per il Corso, se ci parlavi anche solo cinque minuti. Roberto era una figura a suo modo morale e etica, molto di più di un menestrello; figlio di questa città un tempo eccezionale che sapeva far nascere fiori e non solo contare denari.
Era un goliardo autentico, Principe nel 1989, ed ha vissuto da rockstar, senza preoccuparsi del perbenismo e dei luoghi comuni. La città lo sapeva e lo aveva accettato come figlio suo. E lui ricambiava, donando il suo tempo e la sua arte alle commedie dei Liceali, alle operette dei Goliardi, alle comparsate in radio e tv, alle serate nelle contrade, e nella sua Aquila, in favore della sua amata Robur e ovunque la gente lo chiamasse.
Doveva suonare anche alla mia festa di matrimonio, ma poi tuonò così tanto che piovve ancora di più e lui rimase in silenzio. Fu un dispiacere non sentirlo quella notte. Chissà se le cose sarebbero andate diversamente se avesse suonato. Ma non sono mancate le occasioni di vederlo e ascoltarlo. Lui che sapeva trasformare i vortici di polvere in gonne svolazzanti di ragazze felici.
Ha scritto Robert Kennedy che il Prodotto interno lordo non misura la felicità di un popolo. Vero. Ma Roberto quella Felicità al popolo senese l’ha fatta assaporare. Mi piace pensare che se ne sia andato con «un ridere rauco / ricordi tanti / e nemmeno un rimpianto».
Ciao Roberto, accorda la chitarra di nuvole. Tra un po’ saremo tutti in cielo e tu ci farai di nuovo ballare, come sempre «a bollore». E fintanto che il Tempo ci concederà di stare quaggiù verremo a piangerti sulla Collina.