Seguo le vicenda italiane ormai da trent’anni e l’esperienza mi ha insegnato che quando un ministro o un assessore annuncia un “piano strategico”, significa soltanto che vuole far passare un anno o due senza fare niente di concreto, ma nascondendosi dietro al fatto che ci vuole tempo per elaborare un documento che serva poi da guida per gli anni successivi. Di solito quelli in cui è presumibile lui o lei saranno occupati con un altro incarico.
E’ stato così per il piano strategico del turismo firmato dal Ministro Pietro Gnudi il 13 gennaio 2013 e mai neppure preso in considerazione, anche perché 28 aprile dello stesso anno finì l’esperienza del Governo di Mario Monti. E sarà così anche per il nuovo piano strategico del turismo voluto dal Ministro Dario Franceschini, visto che anche se arrivasse a scadenza naturale – e non ci scommetterei – il governo di Renzi ha meno di un anno e mezzo davanti a se.
Comunque, se non altro per curiosità di cultore della materia, mi sono preso la briga di leggere la bozza che è in corso di approvazione e che è stato aperto ad eventuali contributi e proposte, fino alla approvazione definitiva in programma – e non ci scommetterei – il prossimo 14 settembre. Devo ammettere che la premessa del piano è già tale da ridurne ai minimi la credibilità, visto che dice di voler delineare per i prossimi sei anni qualcosa come «4 obiettivi generali, articolati in 4 obiettivi specifici e 53 linee di intervento strategico». In altre parole: ci vorrebbe un Napoleone Bonaparte redivivo.
Per sintetizzare al meglio le impressioni che ho ricavato dalla lettura della bozza del piano strategico del turismo, ricorro a tre citazioni che mi sono venute subito in mente, mentre scorrevo il testo al video.
La prima è quella relativa al programma di governo presentato da Aldo Moro in parlamento nel 1963, il quale conteneva così tante cose, che Giovanni Malagodi (secondo altri Cesare Merzagora) lo definì «brevi cenni sull’universo».
La seconda è molto più recente, risale al 2008, quando Silvio Berlusconi disse che nel programma dell’Unione di Romano Prodi, una infinita sbrodolata di 281 pagine, «gli unici numeri presenti sono quelli delle pagine».
La terza – a perfetta chiosa – è invece della scrittrice americana Dorothy Parker: «Questo testo non dovrebbe essere messo da parte con leggerezza. Ma scagliato via con grande forza».